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Boom delle imprese ucraine in Polonia: oltre 100.000 attività fondate dopo l’invasione russa

Donne ucraine rifugiate lavorano in un bar-ristorante che una fondazione privata ha aperto per offrire lavoro ai rifugiati, a Varsavia, venerdì 1 aprile 2022
Donne ucraine rifugiate lavorano in un bar-ristorante che una fondazione privata ha aperto per offrire lavoro ai rifugiati, a Varsavia, venerdì 1 aprile 2022 Diritti d'autore  (AP Photo/Czarek Sokolowski)
Diritti d'autore  (AP Photo/Czarek Sokolowski)
Di Jan Bolanowski
Pubblicato il
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Dal 2022, gli ucraini hanno aperto più di 100.000 imprese in Polonia, contribuendo all’economia con tasse, innovazione e nuovi posti di lavoro. Un fenomeno che ridisegna il tessuto imprenditoriale del Paese

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A più di tre anni dall’inizio della guerra in Ucraina, l’impatto della migrazione ucraina sull’economia polacca è sempre più evidente — e misurabile. I rifugiati non solo si sono stabiliti, ma hanno scelto l’imprenditoria come via di integrazione e crescita. I numeri parlano chiaro: decine di migliaia di nuove imprese, centinaia di milioni di euro in tasse versate e una presenza crescente nei settori chiave dell’economia polacca. Un fenomeno che ha trasformato un’emergenza umanitaria in una leva economica concreta.

Sono 29.044 le società registrate in Polonia da cittadini ucraini, di cui quasi la metà fondate dopo il febbraio 2022, data dell’invasione su larga scala dell’Ucraina da parte della Russia. Ma la cifra reale è molto più ampia: secondo i dati diffusi dal Centro analisi Gremi e dall’Istituto economico polacco, includendo anche le imprese individuali (Jdg), il numero totale di attività fondate da ucraini in Polonia negli ultimi tre anni e mezzo supera quota 100.000.

Un fenomeno imprenditoriale di massa, alimentato da circa un milione di rifugiati ucraini stabilitisi nel Paese, che ha già avuto un impatto tangibile sull’economia. Solo nel 2024, gli imprenditori e lavoratori ucraini hanno versato nelle casse statali circa 1,65 miliardi di zloty (pari a 385 milioni di euro) in imposte.

“Gli ucraini non solo non tolgono lavoro, ma ne creano. Rafforzano la concorrenza, la qualità dei servizi e si integrano nel tessuto economico locale”, spiega Damian Guzman, vice direttore generale di Gremi Personal. “Naturalmente, devono adattarsi alle regole del mercato polacco ed europeo, cosa non sempre semplice per chi proviene da un contesto normativo diverso”.

I settori trainanti: edilizia, IT e servizi

Secondo il Polski Instytut Ekonomiczny (Pie), oltre la metà delle nuove attività si concentra in tre settori: edilizia, tecnologia dell’informazione e servizi personali (parrucchieri, estetica).

“Le imprese edili ucraine si occupano soprattutto di finiture, mentre quelle informatiche si specializzano nella programmazione. Le attività di servizio, invece, rispondono alle esigenze di una comunità in crescita, spesso rivolgendosi a clienti connazionali”, commenta Katarzyna Dębkowska, capo del team di previsione economica del Pie.

Competenze, fiscalità e Ue

Tre i principali motivi che spingono tanti ucraini ad avviare un’attività: la volontà di sfruttare le proprie competenze professionali, l’efficienza fiscale del modello Jdg e, infine, l’accesso al mercato unico europeo.

Molti ucraini, infatti, occupano in Polonia posizioni inferiori alla propria qualifica, e aprire un’attività è un modo per valorizzare le proprie competenze. Inoltre, diverse aziende polacche richiedono ai collaboratori esterni di operare come liberi professionisti.

Un motore per l’innovazione

Nonostante l’impronta ancora locale di molte imprese — spesso rivolte alla diaspora ucraina — il potenziale di crescita è ampio. “Gli immigrati colmano vuoti del mercato del lavoro e portano con sé reti transnazionali, conoscenze e capacità di innovare”, afferma Dębkowska. “L’imprenditoria migrante è un volano per l’economia, la tecnologia e persino per i brevetti”.

In un’Europa alle prese con la stagnazione demografica e la carenza di manodopera qualificata, il caso polacco mostra come l’integrazione economica possa trasformare un esodo forzato in una leva per lo sviluppo.

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