Il New York Times ha riferito domenica degli sforzi dell'Iran per raggiungere la capacità di lanciare 2.000 missili contemporaneamente contro Israele in caso di ripresa del conflitto. Un’analisi del Middle East Forum ridimensiona tuttavia le possibilità militari di Teheran
In un’intervista al New York Times, Ali Vaez, direttore del progetto iraniano dell’International Crisis Group, ha spiegato che funzionari di Teheran gli hanno riferito come le fabbriche di missili lavorino “24 ore su 24” e che, in caso di un nuovo conflitto, l’Iran spererebbe di lanciare 2mila missili simultaneamente, contro i 500 usati nei 12 giorni di guerra precedente.
Secondo Vaez, l'obiettivo sarebbe “disabilitare Israele” e Teheran starebbe accelerando i preparativi per un futuro scontro.
Il Middle East Forum, think tank conservatore statunitense, ha però ridimensionato queste dichiarazioni in un’analisi firmata dall’analista Mardo Soqom.
Secondo il centro studi, i commenti attribuiti ai funzionari iraniani avrebbero più il tono di una campagna psicologica che non quello di un piano operativo credibile.
Il think tank ricorda che l’Iran non ha mai superato i 200 missili lanciati in un’unica operazione contro Israele negli attacchi del 2024 e del 2025. A giugno, nel breve conflitto con Israele per esempio, Teheran ne ha sparati circa 70 contemporaneamente.
Secondo l’analisi, la ridotta capacità di lancio dell’Iran non deriverebbe da una volontà di moderazione, ma dalla superiorità aerea israeliana, che nei primi momenti degli attacchi di giugno avrebbe colpito basi missilistiche e piattaforme mobili in almeno 12 località del Paese, rendendo troppo rischioso dispiegare altri vettori all’aperto.
Il think tank osserva inoltre che, sebbene la Repubblica islamica abbia costruito negli ultimi vent’anni una vasta rete di tunnel sotterranei per proteggere il proprio arsenale, l’Iran non è in grado di lanciare missili direttamente dai silos come fanno gli eserciti tecnologicamente avanzati.
Per questo motivo, i missili e i lanciatori mobili devono essere portati fuori dai rifugi e sottoposti a un processo di preparazione lungo e articolato, soprattutto nel caso dei sistemi a combustibile liquido, più complessi e lenti da predisporre.
Questa fase, che può durare dai minuti alle ore e in alcuni casi oltre un giorno, espone l’Iran ai radar e alla ricognizione aerea israeliana, facilitando eventuali attacchi preventivi.
Secondo il Middle East Forum, questo spiega perché Teheran non abbia potuto lanciare un numero più elevato di missili durante la guerra dei 12 giorni. L’unico vantaggio iraniano resterebbe l’ampiezza del territorio, che consente di preparare parte dei lanciatori senza attirare immediatamente l’attenzione del nemico.
L’analisi sostiene anche che gli attacchi israeliani ai sistemi di comando e controllo iraniani avrebbero ulteriormente compromesso la capacità di risposta di Teheran. Lo stesso approccio potrebbe ripetersi in un eventuale futuro confronto, lasciando a Israele l’iniziativa strategica e tattica.
Il rapporto evidenzia poi che la Repubblica islamica affronta significative difficoltà nel ricostruire la propria difesa aerea. Al momento non ci sarebbero segnali di nuovi contratti rilevanti con Russia o Cina e, anche in caso di acquisti, la sola disponibilità di mezzi non basterebbe a colmare la distanza con Israele.
Le difese aeree richiedono infatti una rete integrata di radar e coordinamento elettronico, difficile da mantenere in un territorio vasto e variegato come quello iraniano.
A sostegno della tesi cita anche la Russia, le cui difese non sono riuscite a proteggere pienamente Mosca dagli attacchi ucraini con droni e missili.
Il think tank conclude affermando che, negli ultimi decenni, l’Iran ha puntato quasi esclusivamente sul proprio arsenale missilistico come strumento di deterrenza e proiezione di potenza, anche verso obiettivi lontani come l’Europa.
Tuttavia, i tre round di attacchi del 2024 e 2025 hanno messo a nudo i limiti di tale strategia, che avrebbe finito soltanto per consumare parte delle scorte di intercettori israeliani e statunitensi, mostrando la fragilità della strategia missilistica iraniana.