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Dall'invasione dell'Iraq ai ruoli per i leader arabi: il Tony Blair "mediorientale"

L'ex primo ministro britannico Tony Blair durante la Conferenza mondiale sul clima delle Nazioni Unite, Cop28, domenica 3 dicembre 2023, a Dubai, negli Emirati Arabi Uniti
L'ex primo ministro britannico Tony Blair durante la Conferenza mondiale sul clima delle Nazioni Unite, Cop28, domenica 3 dicembre 2023, a Dubai, negli Emirati Arabi Uniti Diritti d'autore  Rafiq Maqbool/ AP.
Diritti d'autore Rafiq Maqbool/ AP.
Di Ekbal Zein & يورونيوز
Pubblicato il Ultimo aggiornamento
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Nell'ottobre 2015, in un'intervista alla Cnn, si è scusato per i suoi "errori" nella guerra in Iraq e ha riconosciuto che c'erano "elementi di verità" nell'opinione che l'invasione avesse favorito l'ascesa dell'Isis, ma non ha mai ritrattato né chiesto scusa per il suo sostegno agli Stati Uniti

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Il nome di Tony Blair, ex primo ministro britannico, è tornato a rappresentare una figura cardine nel mondo arabo, dopo la presentazione da parte del presidente Donald Trump del "piano di pace" per porre fine alla guerra nella Striscia di Gaza. Il progetto, già approvato da Israele e al vaglio di Hamas, prevede venti disposizioni. Una di queste imporrebbe l'istituzione di un organismo di controllo internazionale, chiamato "Consiglio di pace", che sarebbe presieduto dallo stesso Trump e del quale Blair sarebbe membro e partner.

I due leader, insomma, qualora il piano di pace fosse approvato, dovrebbero lavorare assieme per monitorare un comitato palestinese tecnocratico e apolitico che assumerebbe il governo della Striscia dopo l'uscita di scena di Hamas.

Diversi osservatori hanno ritenuto che l'annuncio di Trump evidenzi la rinnovata influenza di Blair nel mondo arabo. Dal quale in realtà non è mai stato assente, anche dopo le sue dimissioni nel 2007 dalla carica di primo ministro, provocate dall'impopolarità per il sostegno all'invasione statunitense dell'Iraq nel 2003.

Il quotidiano ebraico Yedioth Ahronoth ha affermato in particolare che Blair sembra essere tornato nella regione come se non se ne fosse mai andato. Chi è dunque questo "cavallo di ritorno" britannico che non ha mai lasciato la scena del Medio Oriente?

Blair, il più giovane primo ministro britannico dal 1812

Nato nel 1953 a Edimburgo, Blair ha studiato all'università di Oxford, è diventato avvocato e nel 1983 è stato eletto alla Camera dei Comuni come deputato laburista. Le sue abilità dialettiche lo hanno reso popolare tra gli elettori su diverse questioni locali: divenne perciò il nome perfetto per assumere la leadership del partito dopo l'improvvisa morte dell'allora leader John Smith.

Nel 1997, i laburisti ottennero una vittoria schiacciante alle elezioni legislative, rendendo Blair, all'età di 43 anni, il più giovane primo ministro britannico dai tempi di Lord Liverpool nel 1812.

Il sostegno incondizionato a George Bush e all'invasione dell'Iraq

Al volgere del millennio, Blair rinnovò il suo mandato per due volte dopo gli eventi dell'11 settembre 2001, ma dovette affrontare un periodo di leadership turbolento. Dapprima, a pesare fu il sostegno militare alla "guerra al terrore" degli Stati Uniti in Afghanistan sotto il presidente George W. Bush.

Poi arrivò appunto l'invasione dell'Iraq nel 2003, il cui obiettivo era rovesciare il regime dell'ex presidente Saddam Hussein con il pretesto di prevenire la diffusione di armi di distruzione di massa. Si trattò di due questioni che lacerarono il partito laburista e che contribuirono al declino della sua popolarità.

Londra, d'altra parte, si trovo in una situazione particolarmente complessa poiché non riuscì mai a dimostrare l'esistenza di tali armi nell'arsenale iracheno. Tutto ciò spinse Blair alle dimissioni, nel 2007.

 L'ex Primo Ministro britannico Tony Blair al Castello di Windsor, in Inghilterra, lunedì 19 giugno 2023
L'ex Primo Ministro britannico Tony Blair al Castello di Windsor, in Inghilterra, lunedì 19 giugno 2023 Henry Nicholls/AP

Il quotidiano britannico "The Guardian" ritiene che, all'epoca, il primo ministro non fosse consapevole della misura in cui la sua interferenza nei dossier esteri influisse sulla politica britannica. La stessa testata ha riferito che, il 28 aprile 2003, poche settimane dopo la caduta di Baghdad, Sir John Scarrett, presidente del Joint Intelligence Committee, entrò nell'ufficio dell'addetto stampa di Tony Blair, Alistair Campbell, e gli chiese: "Quanto sarebbe difficile se si scoprisse che non abbiamo trovato alcuna prova del programma di armi di distruzione di massa di Saddam?".

Sebbene la risposta fosse ovvia, Blair non poteva immaginare che questa esperienza avrebbe creato una crisi di fiducia a lunghissimo termine. Sia nei confronti dei successivi leader laburisti che dei servizi di intelligence. Il che ha contribuito a paralizzare il processo di autorizzazione dell'uso della forza all'estero.

Blair ha dovuto affrontare anche le accuse di crimini di guerra in Iraq da parte di diverse personalità, tra cui l'ex primo ministro malese Mahathir Mohamad. Nell'ottobre 2015, in un'intervista alla Cnn, si scusò per i suoi "errori" nella guerra in Iraq e riconobbe che c'erano "elementi di verità" nell'opinione che l'invasione avesse favorito l'ascesa dell'Isis, pur non ritrattando il suo sostegno agli Stati Uniti.

Il ruolo di inviato per il Medio Oriente nel Quartetto e i lati "oscuri" evocati dal Guardian

Dopo le dimissioni, non è però uscito di scena. Al contrario, è stato immediatamente nominato inviato per il Medio Oriente presso il Quartetto delle Nazioni Unite, gli Stati Uniti, l'Unione europea e la Russia. Il compito: sostenere la costruzione delle istituzioni palestinesi, promuovere lo sviluppo economico e coordinare le riforme della sicurezza e della governance.

Pur essendosi dimesso nel 2015, ha mantenuto in questo modo stretti legami nel mondo arabo. Dopo aver fondato il Blair Institute, che si ritiene sia stato per lui particolarmente redditizio, ha accettato numerosi incarichi di consulenza. Secondo lo stesso Guardian, l'ex primo ministro britannico avrebbe usato addirittura la sua posizione nel Quartetto per creare una rete "oscura" di interessi che si estende dagli Emirati Arabi Uniti al Kazakistan e all'America.

Consulente di Bin Salman e di al-Sisi

Nel 2011, Blair ha mediato per l'Arabia Saudita un accordo con la Cina per la compagnia Petro Saudi, una società petrolifera di proprietà del principe Turki bin Abdullah, figlio del defunto re saudita Abdullah bin Abdulaziz. Ciò in cambio di 41mila sterline al mese da parte della sua azienda, nonché di una commissione del 2 per cento su tutti i contratti multimilionari che ha aiutato a concludere.

Il Telegraph stima che abbia fornito consulenza a Riad su affari del valore massimo di 9 milioni di sterline. Ma anche agli Emirati Arabi Uniti, che gli hanno assegnato ingenti somme di denaro dal loro fondo sovrano.

Inoltre, secondo quanto riportato dal Sunday Times, Blair è stato nominato consigliere del principe Mohammed bin Salman dopo l'assassinio del giornalista Jamal Khashoggi nel consolato di Riad a Istanbul nel 2018. Il principe ereditario è stato accusato di essere coinvolto nella vicenda, nonostante le smentite. Alcune fonti confermano inoltre che Blair sostenga e partecipi al programma "Vision 2030" del regno arabo.

Anche il presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi avrebbe beneficiato dell'acume politico di Blair: Campbell afferma che quest'ultimo avrebbe accettato di consigliare il capo di Stato, al potere dopo un colpo di Stato militare, nell'ambito di un programma finanziato dagli Emirati Arabi Uniti attraverso una società di investimenti al Cairo.

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