Israele ha attaccato il reattore iraniano ad acqua pesante di Arak. Nessun rischio radiologico secondo Teheran, ma l’azione riaccende le preoccupazioni internazionali sull’arsenale nucleare iraniano
Giovedì mattina, Israele ha sferrato un attacco mirato contro il reattore nucleare ad acqua pesante IR-40 di Arak, una delle infrastrutture nucleari più sensibili dell’Iran. L’impianto, situato a circa 250 chilometri a sud-ovest di Teheran, è stato immediatamente evacuato. Secondo le autorità iraniane e fonti locali, non si sono verificati danni alle aree civili circostanti, né vi è stata alcuna fuga radiologica.
La televisione di Stato iraniana ha confermato che "non esistono rischi per la salute pubblica", mentre fonti locali nella vicina città di Khandab hanno parlato di "danni contenuti all’interno della struttura" e di una "risposta coordinata alle emergenze".
Un attacco annunciato: Israele aveva avvertito
Poco prima dell’attacco, Israele aveva pubblicamente avvisato che avrebbe preso di mira il sito di Arak, chiedendo ai residenti locali di evacuare la zona. Si tratta di una mossa insolita che sottolinea la volontà di limitare vittime civili, pur mantenendo una pressione militare costante sull’Iran.
L’attacco segna un ulteriore punto di escalation nel conflitto in corso tra Israele e la Repubblica Islamica, dopo settimane di raid incrociati e scontri verbali sul fronte diplomatico.
Che cos’è il reattore di Arak?
Il reattore IR-40 di Arak è stato costruito nel 2003 ed è noto per essere un impianto ad acqua pesante, in grado di produrre plutonio come sottoprodotto del processo nucleare. Nonostante le dichiarazioni iraniane secondo cui il reattore sarebbe destinato a scopi civili, analisti e agenzie occidentali temono che possa essere utilizzato per la produzione di materiale fissile a scopo militare.
Il progetto del reattore ha coinvolto anche competenze straniere, tra cui, secondo alcune fonti, il contributo della società russa Nikit. Le preoccupazioni americane si sono incentrate sulla possibilità che l’impianto possa produrre fino a 9 kg di plutonio, quantità sufficiente per alimentare una bomba nucleare.
L'accordo Jcpoa e le ambiguità successive
Nel 2015, il reattore di Arak è stato oggetto di negoziazione nel contesto del Joint Comprehensive Plan of Action (Jcpoa), l’accordo sul nucleare firmato tra l’Iran e i Paesi del gruppo P5+1. Secondo i termini, l’Iran avrebbe dovuto modificare l’impianto e disattivare il suo potenziale militare.
Nel 2016, Teheran ha annunciato di aver cementato il nucleo del reattore, ma nel corso dello stesso anno ha superato per due volte il limite massimo consentito per le scorte di acqua pesante. Inoltre, ha trasferito oltre 80 tonnellate metriche di acqua pesante in Oman, mantenendone comunque il controllo, generando nuove perplessità sulle sue reali intenzioni.
Cosa succede ora?
L’attacco al reattore di Arak rappresenta un nuovo e pericoloso capitolo nella crisi mediorientale. Mentre l’Iran minimizza i danni e cerca di mostrare controllo, Israele continua la sua strategia di “pressione preventiva” sulle infrastrutture nucleari nemiche.
L’incertezza rimane alta: il reattore IR-40 è stato modificato ma non completamente smantellato, e la fiducia nei meccanismi di verifica dell’AIEA è al minimo storico. Se da un lato l’attacco non ha causato un disastro ambientale, dall’altro potrebbe rappresentare una svolta militare dalle conseguenze imprevedibili.