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Israele si prepara a colpire l’Iran secondo gli Usa: manovra politica o guerra?

Cadetti dell'esercito iraniano partecipano a una parata per commemorare la Giornata nazionale dell'esercito, Iran, 18 aprile 2025
Cadetti dell'esercito iraniano partecipano a una parata per commemorare la Giornata nazionale dell'esercito, Iran, 18 aprile 2025 Diritti d'autore  AP Photo
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Di Euronews
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L’evacuazione del personale diplomatico Usa, le tensioni tra Iran e Israele, e il rischio di un conflitto su più fronti mettono a dura prova gli equilibri in Medio Oriente, da Gaza al Mar Rosso, passando per Siria, Libano e Iraq

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Gli Stati Uniti hanno ordinato mercoledì sera l’evacuazione del personale non essenziale e delle famiglie dei diplomatici da diverse ambasciate in Medio Oriente, mentre le tensioni nella regione continuano a crescere.

La decisione arriva in un momento di apparente stallo nei colloqui sul nucleare tra Stati Uniti e Iran, con il presidente statunitense Donald Trump che ha dichiarato di essere "meno fiducioso" che i due Paesi riusciranno a raggiungere un accordo per contenere le ambizioni nucleari di Teheran.

Il Dipartimento di Stato ha annunciato una parziale evacuazione del personale dell’ambasciata americana a Baghdad per "proteggere i cittadini americani, in patria e all’estero".

La notizia fa seguito a quanto riportato dall'emittente Cbs, secondo cui funzionari statunitensi avrebbero ricevuto informazioni secondo cui Israele sarebbe pronto a lanciare un’operazione militare contro l’Iran, e che le postazioni militari statunitensi in Iraq potrebbero essere oggetto di rappresaglie da parte di Teheran.

Ma si tratta solo di manovre difensive da parte dell’Iran per proteggere il proprio programma nucleare o la regione è davvero sull’orlo di un attacco militare a sorpresa in grado di scatenare una guerra regionale su vasta scala?

Israele da tempo sostiene che il programma nucleare iraniano non abbia scopi pacifici e che, se Teheran sviluppasse armi nucleari, lo Stato ebraico potrebbe diventarne un obiettivo diretto.

Tuttavia, il presidente Donald Trump ha lanciato un avvertimento diretto al primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, escludendo azioni militari unilaterali e sottolineando la necessità di dare una chance alla diplomazia.

Dall’altro lato, alcuni critici di Netanyahu vedono in una possibile escalation militare con l’Iran un modo per rafforzare la sua posizione politica, come già avvenuto nei conflitti con Libano e Siria.

L’Iran incasserà il colpo o reagirà?

Una guerra con l’Iran comporterebbe costi elevati anche per gli Stati Uniti. Le basi americane in Iraq, Kuwait, Qatar, Bahrein ed Emirati Arabi Uniti sarebbero tutte esposte a eventuali attacchi missilistici iraniani.

Il comandante delle Guardie Rivoluzionarie iraniane, Hossein Salami, ha dichiarato senza mezzi termini: "Monitoriamo la profondità degli obiettivi nemici e siamo pronti a ogni scenario".

Anche il ministro della Difesa iraniano, Aziz Nasserzadeh, ha avvertito che ogni attacco non resterà senza risposta, promettendo di colpire le basi americane nella regione.

Ma si tratta solo di retorica, o l’Iran darà davvero seguito alle sue minacce? E resta da vedere se gli Stati Uniti siano disposti a lasciarsi trascinare in un altro conflitto di lunga durata in Medio Oriente, appena dopo aver ritirato le ultime truppe dall’Iraq dopo quasi otto anni.

La presenza della Sesta Flotta della Marina Usa nel Mediterraneo solleva interrogativi sul suo ruolo in caso di guerra.

In un momento in cui le minacce si moltiplicano, il dispiegamento della flotta sembra aumentare la capacità di intervento rapido di Washington, ma al tempo stesso la espone direttamente a possibili rappresaglie iraniane.

Nel mezzo di queste tensioni, i palestinesi di Gaza temono che la loro causa venga messa da parte.

Un’escalation potrebbe trasformare Gaza in un "tema dimenticato", con tutte le conseguenze umanitarie che ciò comporterebbe.

E gli Houthi e Hezbollah?

Gli Houthi, sostenuti dall’Iran e attivi in Yemen, che dallo scoppio della guerra nell’ottobre 2023 hanno attaccato navi che ritenevano legate a Israele nel Mar Rosso, hanno recentemente raggiunto un accordo con Washington per fermare gli attacchi alle navi cargo.

Ma se l’Iran fosse colpito e rispondesse con contrattacchi, è probabile che quell’accordo venga ignorato e gli Houthi tornino a combattere al fianco del loro principale sostenitore economico.

Un nuovo conflitto in quella zona strategica minaccerebbe nuovamente i traffici marittimi e farebbe aumentare i prezzi delle materie prime e del petrolio.

Un altro fronte critico è il Libano

Nonostante Israele abbia raggiunto un cessate il fuoco con Hezbollah nel novembre scorso, i raid israeliani sul territorio libanese non sono cessati, prendendo di mira presunti obiettivi del gruppo sciita.

Finora Hezbollah è rimasto in silenzio, ma essendo anche lui finanziato dall’Iran, si prevede che lancerà attacchi di solidarietà contro Israele. Nonostante sia stato indebolito da un anno di scontri quotidiani, il gruppo mantiene una capacità offensiva significativa che potrebbe mettere sotto pressione il fronte nord di Israele.

E la posizione di Iraq e Siria?

L’Iraq si trova in una posizione delicata. Le milizie filo-iraniane, in particolare le Brigate di Hezbollah irachene, sono in stato di allerta e pronte ad agire, ponendo la questione se possano diventare il braccio armato di Teheran per colpire le basi statunitensi o obiettivi israeliani da suolo iracheno.

Ma la vera sfida per Baghdad è mantenere l’equilibrio tra evitare una guerra distruttiva e conservare una fragile stabilità interna. I servizi di sicurezza temono anche una possibile rinascita dello Stato Islamico, che potrebbe approfittare del caos.

L’Iraq rischia così di essere trascinato in un conflitto in cui non è parte attiva, ma che potrebbe travolgerlo.

Dall’insediamento del presidente ad interim Ahmad al-Sharaa, la Siria sta mostrando un cambiamento graduale nelle relazioni internazionali, con segnali di apertura verso l’Occidente e persino un riavvicinamento a Israele.

Questo nuovo corso solleva una domanda: la Siria potrebbe diventare un corridoio o una base per operazioni militari in caso di guerra?

Ma questa ipotesi è ostacolata da sfide interne. I resti del vecchio regime tenteranno di sfruttare la nuova situazione per recuperare potere, mentre la minaccia dell’IS resta concreta.

Al-Sharaa si trova così a un bivio decisivo: restare neutrale o schierarsi. Un’alleanza con l’Iran sembra improbabile alla luce del nuovo orientamento politico, ma anche un allineamento contro Israele appare difficile. Tra queste due “impossibilità”, il mondo osserva per capire da che parte si schiererà Damasco.

Vincitori e vinti

Un attacco militare contro l’Iran non sarebbe un’operazione rapida né semplice, ma un passo pieno di rischi strategici e di sicurezza.

Un confronto aperto allargherebbe il conflitto a più fronti, romperebbe gli equilibri regionali e metterebbe in pericolo interessi vitali in tutto il Medio Oriente.

Per Netanyahu, la guerra potrebbe rappresentare un’occasione per sviare l’attenzione dalle sue crisi interne e dai tre processi per corruzione che lo coinvolgono, guadagnando terreno politico a scapito della stabilità regionale.

Per gli Stati Uniti, nonostante la loro potenza militare, si tratta di un momento decisivo: adottare una strategia di deterrenza o rischiare di cadere in un conflitto aperto dai costi elevatissimi, soprattutto considerando le tante basi presenti attorno all’Iran.

Quanto all’Iran, già afflitto dalle sanzioni occidentali e da una profonda crisi economica, sarebbe il primo a pagare le conseguenze di una guerra, che potrebbe far esplodere le tensioni interne proprio mentre il regime è messo alla prova nel mantenere la coesione interna e rispondere alle minacce esterne.

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