Michel: "L'Ue non ha chiuso un occhio nel Nagorno-Karabakh"

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Di Gregoire Lory
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I conflitti in Ucraina e nel Nagorno-Karabakh, l'allargamento dell'Ue e i rapporti con la Cina: sono solo alcune delle sfide diplomatiche, politiche ed economiche che Bruxelles deve affrontare. Ne abbiamo parlato con il presidente del Consiglio europeo

I conflitti in Ucraina e nel Nagorno-Karabakh, l'allargamento dell'Unione europea e i rapporti con la Cina: sono solo alcune delle sfide diplomatiche, politiche ed economiche a cui deve far fronte l'Unione europea. Abbiamo parlato di tutto questo con il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, ospite di The Global Conversation.

L'offensiva dell'Azerbaigian nel Naogorno-Karabakh è una nuova operazione militare non lontano dai confini dell'Unione europea. Qual è la priorità oggi?

L'attacco dell'Azerbaigian è stato uno shock, perché era in corso un processo di mediazione e l'uso della violenza va sempre deplorato - dice Micheò -. Ora è importante essere attivi sul fronte umanitario e nel sostegno dell'Armenia, che ospita un gran numero di rifugiati che hanno lasciato la regione in cui vivevano, nell'ex oblast' del Nagorno-Karabakh". 

Lei è stato coinvolto in questa mediazione negli ultimi mesi: questo attacco è un fallimento della diplomazia europea?

Diplomazia e mediazione non sono una scienza esatta. Questa mediazione, condotta in parallelo con altri, in particolare con gli Stati Uniti, ci ha permesso di fare dei progressi, ad esempio lo scambio di prigionieri, e di capire come migliorare la connettività in questa regione, un fattore di stabilità per il futuro. Sono stati fatti dei progressi anche sui testi che, un giorno, potrebbero portare ad un accordo di pace tra Armenia e Azerbaigian. Detto questo, abbiamo immediatamente deplorato questa azione militare. Sono molto deluso dalla decisione presa dall'Azerbaigian e l'ho detto chiaramente al presidente Aliev.

C'erano stati segnali di allarme: la chiusura del corridoio di Lachin, le truppe azere che si ammassavano intorno al Nagorno-Karabakh. Bruxelles ha colto questi segnali?

Siamo stati molto attivi durante l'estate. Appena ci siamo resi conto della chiusura del corridoio di Lachin e della pressione umanitaria sulla regione, era importante riaprire l'accesso umanitario. Per tutta l'estate e nelle settimane precedenti all'azione militare, l'Unione europea è stata coinvolta direttamente, sia con i rappresentanti della popolazione armena nella regione sia con i rappresentanti del governo azero, e siamo riusciti a garantire la riapertura dell'accesso umanitario. Poche ore dopo questa riapertura è stata lanciata l'azione militare. Continueremo a impegnarci a fondo. Non ci arrendiamo. Lo ripeto: è vero che siamo delusi dalla decisione di intraprendere un'azione militare, ma non rinunciamo al nostro impegno di portare stabilità, sicurezza e, nel breve termine, aiuti umanitari nella regione.

L'Unione europea ha chiuso un occhio per preservare gli accordi sul gas con l'Azerbaigian?

No, assolutamente. Capisco che alcuni la pensino così. Non è un'analisi corretta. Abbiamo dimostrato la capacità dell'Unione europea di diversificare molto rapidamente dopo lo scoppio della guerra in Ucraina. Di conseguenza, oggi ci sono molte opzioni aperte in termini di accesso alle risorse energetiche.

Dovremmo riconsiderare questi accordi sul gas per cercare di ottenere garanzie da Baku?

Dobbiamo prima vedere con l'Armenia come trovare un modo per andare verso la normalizzazione delle relazioni tra Azerbaigian e Armenia. Una garanzia ferma e assolutamente indiscutibile del reciproco riconoscimento della rispettiva integrità territoriale. E come garantire i diritti e la sicurezza della popolazione armena che vive nell'ex oblast' del Nagorno-Karabakh.

L'Azerbaigian è ancora un partner dell'Unione europea?

Sì, oggi è un partner. Questo significa che il rapporto è semplice? No, non lo è. È un rapporto difficile e queste difficoltà devono essere comprese.

Lei incontrerà i leader di Azerbaigian e Armenia. Cosa gli dirà?

Ancora una volta, incoraggeremo un processo di normalizzazione che possa portare a degli impegni da entrambe le parti e che questi impegni siano rispettati. La priorità assoluta è quella di garantire che ci siano dei negoziati sia sulle delimitazioni territoriali che sui confini. In effetti, è stato il processo europeo che ha permesso di compiere progressi su un trattato di pace per normalizzare le relazioni e anche sulla cosiddetta connettività, ossia la possibilità per gli armeni e gli azeri di spostarsi nella regione.

Ha usato la parola pace. La pace è possibile?

Dipenderà dalla volontà di entrambe le parti. Non c'è dubbio che l'azione militare crei diffidenza, per non dire altro. Se vogliamo la pace, più sicurezza e prosperità, la cosa migliore è che ci siano negoziati per stabilire una serie di impegni da entrambe le parti.

Il primo gennaio il Nagorno-Karabakh cesserà di esistere. Come si può parlare di fiducia?

Penso che l'Azerbaigian abbia grosse responsabilità, visto che ha lanciato un'operazione militare. Ora spetta all'Azerbaigian dimostrare buona volontà nei confronti del monitoraggio da parte di un comitato internazionale per proteggere i diritti e la sicurezza di tutta la popolazione che vive in Azerbaigian, compresa la popolazione armena.

L'Armenia parla di pulizia etnica nel Nagorno-Karabakh. Lei è d'accordo con questi termini?

Il dato di fatto è che la stragrande maggioranza della popolazione armena ha lasciato questa regione, probabilmente per paura di come sarebbe stata trattata dalle autorità azere. Gran parte della popolazione si trova ora in Armenia, ed è per questo che è necessario un aiuto umanitario, in particolare da parte dell'Unione europea. Credo che la comunità internazionale debba svolgere un ruolo per garantire la sicurezza e i diritti di questa popolazione e vedere se desiderano restare in Armenia o tornare nella loro regione.

La Russia è un attore importante nella regione. Questo attacco indebolisce o rafforza Mosca?

C'è una certezza ora, e non si può non vedere: la Russia ha tradito il popolo armeno e ha espresso il desiderio di avere una presenza militare per garantire questi accordi di stabilità e sicurezza. Questa operazione militare è stata lanciata senza la minima reazione da parte della Russia, che era sul posto, mentre l'Unione europea, come sapete, che non ha forze militari sul terreno.

A proposito dell'Ucraina: il sostegno europeo all'Ucraina è incrollabile come all'inizio? Le elezioni in Slovacchia hanno visto la vittoria di un partito antibellico e favorevole al Cremlino. I 27 sono ancora uniti?

La risposta è sì. Siamo molto uniti. Ricordo che nelle settimane e nei mesi successivi allo scoppio della guerra in Ucraina si speculava molto sul fatto che i 27 si sarebbero divisi molto rapidamente. Ma non è successo. Al contrario, il tempo trascorso ha di fatto saldato le posizioni, come dimostrano le sanzioni contro la Russia. Sono stati approvati undici pacchetti di sanzioni contro la Russia. Abbiamo sostenuto l'Ucraina dal punto di vista finanziario e con l'invio di armi, una prima volta per l'Unione europea, e anche dal punto di vista politico nei forum internazionali. L'Unione europea sostiene con forza l'obiettivo di una pace giusta proposto dal presidente Zelensky, che si basa sul rispetto dell'integrità territoriale e sul rispetto della Carta delle Nazioni Unite.

Non siete preoccupati dal fatto che Slovacchia e Polonia abbiano detto che sospenderanno le forniture di armi? L'impressione è che si stiano aprendo delle crepe.

Si parla del rischio di spaccature da quando la Russia ha lanciato la sua guerra contro l'Ucraina. Questo non significa che non siamo vigili. Siamo vigili perché l'unità richiede molti sforzi: lavoro politico, convergenza e diplomazia. Continueremo ad impegnarci con la collaborazione dei nostri alleati - Stati Uniti, Canada, Giappone e molti altri Paesi in tutto il mondo - per difendere la sicurezza non solo dell'Europa, ma di un ordine mondiale che si basa sulle regole. Perché quando un membro permanente del Consiglio di Sicurezza, come nel caso della Russia, attacca un suo vicino, è l'ordine mondiale ad essere minacciato e non solo la sicurezza in Europa.

Come si può discutere oggi con la Slovacchia?

Ci sono state le elezioni. Dobbiamo sempre rispettare i risultati delle elezioni. È una costante in uno spazio democratico. Vedremo quale sarà il governo: nei prossimi giorni, suppongo, si svolgeranno i negoziati per la formazione di un governo in Slovacchia e noi lavoreremo in buona fede, con sincerità, con il governo che uscirà da questo processo elettorale.

Non teme blocchi o veti che sono sempre più frequenti?

Non è la prima volta che ci sono elezioni nell'Unione europea, è un processo normale ed è positivo. È tutto molto bello. Quando ci sono le elezioni, spesso si specula prima. Poi ci si rende conto che c'è la possibilità di far prevalere il buon senso e di lavorare insieme, perché credo che molti si rendano conto che l'Unione europea porti un valore aggiunto, soprattutto in momenti come questo. Sono tempi di grande tensione internazionale.

Tra qualche settimana andrà a Washington. Pensa che il sostegno americano all'Ucraina sia solido? I fondi destinati a Kiev sono rimasti fuori dall'accordo per evitare lo shutdown. Dobbiamo interrogarci sul sostegno di Washington?

Personalmente, in tutti gli incontri con il presidente Biden e con il Segretario di Stato Blinken, ho notato una grande determinazione e sincerità nel sostegno all'Ucraina. Gli Stati Uniti sono consapevoli che non si tratta solo di sostenere l'Ucraina o l'Unione europea, ma di sostenere una visione del mondo basata sulla libertà e sulla democrazia. È questa la vera posta in gioco. Sono quindi fiducioso che gli Stati Uniti siano determinati a lavorare fianco a fianco con gli europei. Qualche giorno fa ho ricevuto l'inviato speciale di Joe Biden per la ricostruzione in Ucraina. Questo dimostra che siamo davvero attenti ai dettagli della cooperazione e del coordinamento. Vogliamo garantire che il sostegno fornito da entrambe le parti sia utile per gli ucraini e per i valori che difendiamo. Poi certo, non siamo ingenui. È ovvio che bisogna vigilare. È necessario farlo a livello europeo ma anche negli Stati Uniti.

Lei incontrerà Joe Biden. Tra un anno il presidente potrebbe essere un repubblicano. Non è preoccupato per le elezioni americane?

Non voglio fare speculazioni sui risultati delle elezioni americane. Prima ci saranno le elezioni europee. C'è solo un punto che ritengo essenziale: non dovremmo pensare troppo a ciò che accade in altre parti del mondo. Dobbiamo invece pensare a ciò che vogliamo, come europei, per avere un'influenza positiva sul resto del mondo, per difendere i nostri valori e i nostri interessi, compresi quelli economici. Parlo degli interessi di centinaia di milioni di cittadini europei: abbiamo la responsabilità di proteggerli, di difenderli e di garantire che siano presi in considerazione a livello internazionale.

Si è parlato molto della controffensiva ucraina. È ancora ottimista sull'esito del conflitto e sui progressi sul campo?

Sì, credo sia importante non allentare i nostri sforzi per sostenere l'Ucraina, anche in termini militari. Sono stati fatti dei progressi. Ne ho parlato di recente con il presidente Zelensky. Da parte ucraina c'è la determinazione a continuare l'offensiva per recuperare il proprio territorio: questo è il nocciolo della questione. Per questo è importante che l'Europa e i partner dell'Ucraina continuino a darle un sostegno deciso. Quando questa guerra è cominciata, molti prevedevano che l'Ucraina non sarebbe durata più di qualche giorno o qualche settimana. Ora, più di un anno e mezzo dopo, l'Ucraina non solo resiste, ma è riuscita a riconquistare il territorio inizialmente conquistato dai russi.

Questo significa che è ancora troppo presto per parlare di negoziati di pace tra Mosca e Kiev?

Credo sia importante mantenere una posizione di principio molto ferma. Sono gli ucraini, e solo gli ucraini, a dover definire quando le condizioni per un negoziato saranno soddisfatte. Ed è quello che sta facendo il presidente Zelensky con questa formula per una pace giusta e cercando, con il nostro sostegno, di mobilitare la comunità internazionale: i consiglieri per la sicurezza nazionale di decine di Paesi si sono incontrati più volte, su iniziativa degli ucraini, per mettere sul tavolo proposte per andare verso la pace. Ma una pace duratura non prevede nessuna impunità: deve essere fatta giustizia contro chi commette crimini di guerra. La basa di una pace sono i principi della Carta delle Nazioni Unite. Qualsiasi altra formula invierebbe al resto del mondo il messaggio che è sufficiente lanciare un'aggressione contro il proprio vicino per ottenere, prima o poi, una qualche forma di riconoscimento. Per noi questo non è accettabile.

All'inizio di settembre, lei ha fissato l'obiettivo del 2030 per un ulteriore allargamento dell'Unione europea. L'Unione è pronta?

L'Unione non è ancora pronta, per questo dobbiamo prepararci. Se ho fissato una data è perché penso che non è solo l'Unione europea che deve prepararsi, ma anche gli Stati: se vogliono unirsi a noi devono accelerare gli sforzi in termini di riforme. Lo scopo di fissare una data è quello di aprire gli occhi a tutti e di dire che non possiamo più non possiamo più rimandare. Il mondo in cui viviamo è sotto gli occhi di tutti. L'Unione europea è un progetto che ha portato pace, prosperità e speranza dopo un secolo segnato da tragedie e disperazione. Se vogliamo offrire ai nostri figli un futuro prospero e stabile, dobbiamo iniziare a preparare l'evoluzione di questo progetto politico. E questo significa parlare. In futuro cosa vogliamo fare insieme? Quali sono le nostre priorità comuni? Come le finanzieremo? Non è mai facile parlare di risorse finanziarie, ma dobbiamo affrontare questi temi. E come decideremo insieme? Soprattutto se in futuro saremo più numerosi attorno al tavolo, potremmo dover adattare il modo in cui prendiamo le decisioni, in modo da rimanere un progetto politico efficace quando necessario.

È possibile includere in questo processo di allargamento ogni candidato? Alcuni non hanno lo stesso peso demografico o economico. Serve un processo differenziato per ciascun candidato?

Il processo è differenziato perché si basa sui meriti di ciascuno. Dobbiamo essere sicuri che ovunque si combatta la corruzione e ci sia un sistema giudiziario indipendente che rispetti i diritti dei cittadini e delle imprese. Ma è chiaro che al di là di questo principio di base, al quale non rinunceremo mai, è importante vedere qual è la posta politica in gioco. È nel nostro interesse che i Paesi dei Balcani occidentali siano sottoposti quotidianamente a tentativi di interferenza da parte di potenze esterne, che non hanno i nostri stessi valori? Questo non è positivo per la loro sicurezza. Saremo più sicuri quando questi Paesi avranno aderito agli standard dell'Unione europea in termini di lotta alla corruzione e di Stato di diritto.

Ha parlato di standard europei. Alcuni candidati se ne stanno allontanando: lei parlava di corruzione nell'ambito dello Stato di diritto. Come spiega questo fenomeno? L'Europa non è abbastanza ferma o non si impegna abbastanza per attirarli verso questi standard?

Io ho una posizione più sfumata. Ci sono anche molti Paesi candidati che stanno facendo progressi e attuando le riforme che gli sono state chieste da tempo. In questi Paesi c'è uno slancio. Capiscono che la guerra in Ucraina sta facendo aprire gli occhi a molti europei - non solo ai leader politici, ma anche ai cittadini - sull'importanza di procedere verso un processo di allargamento ordinato e organizzato.

L'Unione europea può ancora rimandare l'allargamento? Non c'è il rischio che questi Paesi si allontanino dall'Europa verso altri Paesi?

La risposta è no. Non possiamo più procrastinare. Dobbiamo agire. Non significa che questi Paesi entreranno nell'Unione europea la prossima settimana, ma dobbiamo mettere in atto un meccanismo di integrazione graduale affinché nelle settimane, nei mesi e negli anni a venire, si possa vedere in modo tangibile questo avvicinamento economico, questo avvicinamento alla democrazia e ai valori dai 27 Paesi dell'Unione europea.

Parliamo della Cina: è ancora un partner o è più un rivale sistemico?

Il mio punto di vista sulla Cina molto semplice. I nostri rapporti con la Cina si basano su tre pilastri. Il primo è la democrazia, i valori fondamentali e i diritti umani: l'Europa non abbasserà la guardia su questo tema, è il nostro dna. Crediamo che il mondo sia un posto migliore, più stabile e più sicuro quando condividiamo valori universali e continueremo, anche con la Cina, a difendere i nostri valori. Questo è il primo punto. Il secondo punto è che c'è un chiaro squilibrio nelle relazioni tra l'Unione europea e la Cina, e che siamo economicamente vulnerabili perché in alcuni settori siamo troppo dipendenti dalle relazioni con Pechino. Dobbiamo quindi riequilibrare le nostre relazioni con la Cina: questo è il messaggio che stiamo dando quando ci confrontiamo con le autorità cinesi. Dobbiamo trarre insegnamento dalla guerra in Ucraina. Abbiamo visto che la nostra dipendenza dai combustibili fossili è una debolezza, un tallone d'Achille. Dobbiamo quindi trarre insegnamenti su tutti i fronti, anche nelle relazioni con la Cina. Infine c'è il terzo elemento: la Cina è protagonista della sfida climatica, di questioni sanitarie e di sicurezza a livello globale. Dobbiamo quindi impegnarci con la Cina anche su questi temi.

Il riequilibrio delle relazioni prevede un'indagine, ad esempio, sui sussidi cinesi per i veicoli elettrici?

Sì, penso che sia utile, visto che ci sono una serie di indicazioni che ci portano a credere che le relazioni siano sbilanciate da alcune azioni unilaterali. Dobbiamo garantire il rispetto degli interessi dell'Unione europea. Non solo con la Cina, a mio avviso, ma con tutte le regioni del mondo che, a un certo punto, decino di usare regole diverse da quelle rispettate da tutti gli altri giocatori. Dobbiamo stare attenti a livello europeo. È giusto essere un giocatore leale, ma deve essere una cosa reciproca. Se noi siamo leali, dobbiamo aspettarci che il nostro partner sia leale quanto noi.

Se non c'è reciprocità, cosa può fare l'Unione Europea? Qual è il prossimo passo?

Prima di tutto, lavoriamo sul riequilibrio. E poi, una volta che avremo fatto progressi in questo senso, potremo fare delle valutazioni e vedere quali strumenti usare. Abbiamo utilizzato gli strumenti a nostra disposizione, sia con la Cina che con altre regioni del mondo, ma la nostra prima intenzione è quella di farci rispettare riequilibrando le nostre relazioni economiche.

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