In Sudan "corpi lasciati per strada mangiati dai cani"

La crisi umanitaria che getta il Sudan definitivamente nel baratro
La crisi umanitaria che getta il Sudan definitivamente nel baratro Diritti d'autore FABRICE COFFRINI/AFP or licensors
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Di Gianluca Martucci
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In Sudan, da un mese infuria la violenza tra i generali che si contendono il potere nel Paese. La popolazione vive sotto il fuoco incrociato, il colpo di grazia che annienta le speranze di immettere il Paese sulla strada per la democrazia

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A un mese dall'inizio degli scontri tra esercito nazionale e milizie paramilitari in Sudan, l'Alto commissariato per i rifugiati delle Nazioni Unite conta almeno 700 morti e 300 mila sfollati. Per gli esperti tuttavia il numero di casi non denunciati è di molte volte superiore.

La tensione cresce mentre la tragedia umanitaria si profila all'orizzonte: il Programma alimentare mondiale delle Nazioni Unite sostiene che 19 milioni di persone - ovvero il 41% della popolazione totale, che conta 46 milioni di persone - potrebbero presto piombare nella malnutrizione se non si riuscirà a fermare il conflitto. Manca lo stretto necessario, spiega Mathilde Vu, dell'organizzazione no-profit Norwegian Refugee Aid.

"È un inferno: la gente fatica ogni giorno a trovare l'acqua perché non c'è più acqua corrente, e muoversi è sempre un rischio perché si può cadere nel fuoco incrociato anche solo andando a comprare del cibo", racconta Vu. 

I prezzi nei negozi sono alle stelle e le banche chiuse da settimane non erogano più contanti. Le reti di telefonia mobile non funzionano e le interruzioni di corrente sono sempre più frequenti dopo gli attacchi alle centrali elettriche. Vu racconta anche che la gente è costretta a lasciare le proprie case, ora occupate da gruppi armati.

Lotta per il potere

Gli scontri sono scoppiati il 15 aprile nella capitale del Sudan, Khartoum, e interessano le fazioni militari rivali dei leader che erano saliti al potere insieme nel 2021 grazie a un colpo di stato.

A contrapporsi sono l'esercito sudanese guidato dal generale Abdel Fattah al-Burhan (capo dello Stato de facto) e le milizie paramilitari delle Forze di supporto rapido del generale Mohammed Hamdan Dagalo. Questa organizzazione è nata nel 2013 prendendo in eredità la struttura della famigerata milizia Janjaweed, accusata di pulizia etnica delle minoranze non arabe nella regione del Darfur.

L'Organizzazione delle Nazioni Unite per le Migrazioni (OIM) stima che almeno 700 mila persone siano sfollate in Sudan e che il numero di rifugiati registrati nei Paesi confinanti sia di 150 mila.

Fuga dal caos

"Ogni singolo pezzo di vita che può esistere è ora distrutto o in pericolo, ecco perché ci sono molte persone che sono fuggite e stanno correndo verso il confine a Nord, in Egitto, o a Sud, nel Sud Sudan, o a volte nelle città vicine a Est", dice Vu.

Sadeia Alrasheed Ali Hamid, attivista sudanese che attualmente vive in Arabia Saudita, ha raccontato di "corpi lasciati per strada per essere mangiati dai cani". 

"Ci sono bambini che non possono andare in ospedale, tutti hanno paura di uscire anche solo per andare a comprare cibo", continua. Le violenze prendono di mira i mercati locali, soprattutto a Khartoum. "Ci sono alcune bande che vanno lì e distruggono tutto, rubano tutto, prodotti di cui la gente ha bisogno, come il cibo, le scorte alimentari e tutto il resto", dice.

Quale pace?

Neanche l'accordo di principio raggiunto dalle parti venerdì 12 maggio a Gedda, in Arabia Saudita, fa intravedere la luce in fondo al tunnel. Le fazioni si sono impegnate a consentire le evacuazioni dei civili e la fornitura degli aiuti umanitari nel Paese, ma il diavolo sta sempre nei dettagli, che mancano all'appello. 

La prospettiva di una rapida fine della guerra civile sembra lontana e i cessate il fuoco concordati nel corso delle ultime settimane sono stati ripetutamente violati malgrado fossero circoscritti. Cresce la preoccupazione che il conflitto possa estendersi ai Paesi vicini, e questo è uno dei motivi per cui le organizzazioni umanitarie hanno deciso di concentrare l'attenzione sul Sudan il più rapidamente possibile. 

Paesi come la Libia, il Ciad e l'Etiopia, sono alle prese con problemi economici e una situazione politica instabile. A ciò si aggiungono gli effetti evidenti del cambiamento climatico. Quando ci parla di questo Vu sostiene che la regione è già "estremamente vulnerabile agli shock".

KHALED DESOUKI/AFP or licensors
Sono 150 mila le persone scappate nei Paesi che confinano col SudanKHALED DESOUKI/AFP or licensors

Una delle cose che devono accadere, secondo Vu, "è che la comunità internazionale invii un messaggio molto forte alle parti in conflitto, chiarendo loro che gli aiuti umanitari, le vite e le infrastrutture civili devono essere protette a prescindere dai cessate il fuoco e dagli accordi di pace".

Secondo Sadeia Alrasheed Ali Hamid "il mondo intero dovrebbe parlare di ciò che sta accadendo in Sudan: siamo parte del mondo intero, c'è una voce qui in Africa, in Sudan, che chiede aiuto".

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