Gli scontri tra esercito e milizie fanno ripiombare il Sudan nel caos

Scontri in Sudan, Paese nel caos
Scontri in Sudan, Paese nel caos Diritti d'autore Marwan Ali/AP
Di Gianluca Martucci
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Il bilancio delle vittime dei nuovi scontri tra l'esercito nazionale comandato da al-Burhan e le milizie di Dagalo è destinato ad aumentare drammaticamente. Fallisce l'impegno comune per la transizione democratica del Paese

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La rivalità politica tra i due generali ai vertici del Consiglio sovrano che al momento guida il Paese, Abdel-Fattah Al-Burhan e il filorusso Mohamed Hamdan Dagalo, ha riportato il Sudan nel caos. Aumenta costantemente il bilancio delle vittime dopo gli scontri tra l'esercito e i paramilitari sudanesi delle Forze di supporto rapido (Rfs) registrati sabato 15 aprile. Si contano almeno 56 morti e 600 feriti, la metà è concentrata nella capitale Khartoum. 

Le Rfs cercano di prendere il potere e di scalzare l'esercito in una prova di forza fatta di incursioni, sparatorie, raid aerei, mobilitazioni di blindati e informazioni fuorvianti. Sabato sera la situazione, che mette a rischio la comunità di circa 150 italiani presenti nel Paese, sembrava ancora in bilico.

Le forze armate del Paese hanno sostenuto di aver "riconquistato tutte le aree vitali" assicurandosi il controllo parziale degli aeroporti di Khartoum e della città turistica di Merowe, collocata circa 400 chilometri più a Nord della capitale.

Nell'incursione allo scalo della capitale le Rsf di Dagalo, detto "Hemeti", hanno dato fuoco ad aerei civili, compreso uno della Saudi Airlines. I primi colpi di arma da fuoco a Khartoum sono stati uditi verso le sette del mattino, hanno riferito componenti dell'Ong italiana 'Music for peace creativi della notte', mentre Emergency è stata costretta a chiudere il suo centro pediatrico alle porte della capitale e a evacuare lo staff. Un funzionario delle Nazioni Unite ha riferito di scontri "letteralmente ovunque" nella capitale, anche nella zona "Khartoum 2" in cui si trova l'Ambasciata d'Italia.

Gli scontri sono il culmine di mesi di forti tensioni tra le forze armate e il gruppo delle Forze di supporto rapido, che hanno ritardato l'impegno dei partiti politici ad attuare l'accordo-quadro firmato il 5 dicembre 2022 considerato un passo decisivo per realizzare la transizione democratica nel Paese dopo colpo di stato militare dell'ottobre 2021.

L'esercito nazionale chiede lo smantellamento delle "milizie ribelli" delle Rsf sostenute dal gruppo di mercenari russi del gruppo Wagner. La violenza raggiunta tra gli ex alleati che hanno orchestrato insieme il colpo di Stato del 2021 lasciano comprendere che gli scontri sono destinati a continuare.

Al centro della contesa c'è la riforma militare, con l'esercito sudanese che vorrebbe integrare le Rsf nei propri ranghi già entro due anni. Dagalo invece vorrebbe mettersi a disposizione di un'autorità civile in un processo più lento che potrebbe durare fino a dieci anni.

"La battaglia si deciderà nei prossimi giorni", ha avvertito Dagalo. Le Rsf, che nell'aprile 2019 parteciparono al colpo di Stato militare che pose fine all'era dell'autocrate Omar al-Bashir, disporrebbero di circa 100 mila uomini. Sono un'evoluzione delle famigerate milizie "janjaweed", i "diavoli a cavallo" che combatterono per Bashir con l'obiettivo di sedare la ribellione in Darfur (nella parte sud-occidentale del Paese) dei primi anni 2000. Il conflitto provocò almeno 2,5 milioni di profughi e circa 300 mila morti.

 Dagalo condivide con la milizia Wagner una miniera d'oro e si è recato in Russia alla vigilia dell'invasione dell'Ucraina alla fine di febbraio 2022. Si è detto favorevole alla costruzione di una base russa sul Mar Rosso.

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