La fine dell'Urss trent'anni dopo. L'impero che non vuole morire

L'Urss ha assunto una dimensione mitica per molti russi
L'Urss ha assunto una dimensione mitica per molti russi Diritti d'autore Pavel Golovkin/Copyright 2019 The Associated Press. All rights reserved
Di Sergio Cantone
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Oggi, anche a trent'anni dalla caduta dell'Urss, resta valida la frase di Winston Churchill sull'Unione sovietica e l'Impero Russo: "la Russia è un indovinello avvolto in un mistero all'interno di un enigma"; Abbiamo provato a svelarlo intervistando lo storico Andrea Graziosi.

Secondo uno dei tanti aforismi attribuiti a Winston Churchill: "la Russia è un indovinello avvolto in un mistero all'interno di un enigma". Lo statista britannico per Russia intendeva l'Unione Sovietica, e non era una semplificazione: prendere una parte per il tutto. No, era un vero e proprio programma politico.

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ll francese Charles de Gaulle era dello stesso avviso. Per entrambi, l'Urss altro non era che il vecchio Impero russo e come tale andava trattata. Dello stesso parere anche Henry Kissinger. Cosa avevano in comune questi uomini di Stato? Erano dei realisti, e credevano nell'equilibrio di potenza.

Incuriositi e affascinati abbiamo esplorato la morte presunta dell'Unione Sovietica intervistandoAndrea Graziosi, storico contemporaneo dell'Università Federico II di Napoli, e autore di numerosi volumi sull'Europa orientale, l'Ucraina e l'Urss.

Abbiamo affrontato col professor Graziosi molte questioni presenti ancora oggi, legate all'Unione sovietica e alla sua morte presunta. Siamo arrivati alla conclusione che o esistono i fantasmi o quell'Impero non è mai defunto. Il nostro realismo ci fa optare per la seconda ipotesi. I fatti di questi ultimi anni in Ucraina, nel Baltico e nel Levante sono degli indizi gravi, precisi e concordanti.

Potete scoprire l'intervista integrale con Andea Graziosi in questo video :

Il commento di Andrea Graziosi

"Chi ha fatto fuori l'Impero del male?" Dramma noir tuttora incompiuto. Perché dopo trent'anni si sa quasi tutto sulla fine dell'Urss, tranne se sia veramente finita. E se non c'è un decesso completamente accertato non c'è un assassino.

Molte delle cause del fallimento del regime sono note:

l'inadattabilità economica delle strutture produttive e creditizie del socialismo reale alla nascente economia globale integrata (al contrario del caso cinese) l'insostenibile spesa militare per la competizione con gli Usa, la decennale guerra in Afghanistan, l'arretratezza informatica, la fuga in avanti e gli aneliti indipendentisti di alcune nazionalità (soprattutto europee) che componevano l'Unione delle repubbliche socialiste sovietiche... sono tutte cause oggettivamente riscontrabili della fine dell'Impero nella sua mise marxista-leninista.

"La pecunia è il nervo della guerra" diceva più di un poeta. Resta infatti l'atavica dannazione del potere russo dalla metà del XIX secolo in poi: perdersi nella ricerca di un'efficienza economica che gli permetta di competere con la potenza, o le potenze, occidentali di turno. I sistemi economici passano, la Santa Russia no.

Alcuni grandi pensatori degli anni '80 del XX secolo (da Est a Ovest) dopo fine dell'Unione sovietica si aspettavano il compimento storico, geografico e morale delle rivoluzioni liberali cominciate nell'emisfero occidentale nel XVIII secolo con la definitiva affermazione dei diritti individuali.

Era"La fine della storia" l'intuizione di Francis Fukuyama, politologo conservatore Usa vicino al Presidente Ronald Reagan, è di quest'ultimo oltretutto la definizione dell'Urss come "Impero del male".

Non andò così. Venuto a mancare l'esoscheletro ideologico, si sciolsero le cinture di trasmissione politico-amministrative tra la nomenklatura del Partito comunista (Pcus) di Mosca e quelle delle Repubbliche. Questo accelerò l'implosione dell'economia pianificata (già in pessime condizioni) senza niente che potesse sostituirla a portata di mano:

"non c'era più un liberale in Russia da settantaquattro anni. Non c'era più un mercato, tranne il mercato nero. Molte aspettative erano comprensibili, anch'io ero contento, però erano ingenue"

dice Andrea Graziosi, aggiungendo:

"tutta l'élite sovietica voleva fare le riforme, anche i golpisti".

I "golpisti" erano quel gruppo di alti responsabili sovietici "conservatori" che di fronte all'oggettivo fallimento della perestroyka nell'Agosto del 1991 tentarono di rovesciare Gorbaciov con la forza accelerando involontariamente la fine del regime e delle istituzioni sovietiche. Volevano salvare l'Urss, ottennero l'opposto.

Alla fine la spuntò Boris Eltsin, ex presidente del Praesidium del Soviet Supremo della Repubblica socialista sovietica russa. Un vero ex comunista convertito al liberalismo improvvisato del suo Partito dei Democratici.

Riorganizzare l'economia di un gigante come l'Urss partendo dal mercato nero e dai prestiti occidentali significa dare il via libera a corruzione, crimine e oligarchie che caratterizzarono le privatizzazioni degli anni '90 di Boris Eltsin.

Ma la fine dell'Impero ha anche altre origini.

Per Serhii Plokhii, uno storico ucraino, l'Impero è finito soprattutto grazie alla volontà dell'Ucraina di staccare la spina. Secondo Plokhii infatti Kiev optò per l'indipendenza malgrado la riluttanza dell'allora presidente Usa George Bush (padre) e del Segretario di Stato James Baker di accettare la fine dell'Urss. Bush aveva un debito d'onore con Mikhail Gorbachov, ma soprattutto temeva la fine del bipolarismo, il sistema internazionale dell'epoca, alias la rassicurante Guerra Fredda, e un conseguente salto nel buio con gli arsenali nucleari fuori controllo.

È vero, l'Ucraina era il cuore agricolo e industriale dell'Urss e l'anima della cultura russa. La sua separazione fu un dramma, anche per i molti russi etnici che ci vivevano e che ci vivono.

E come ben sappiamo è un problema irrisolto.

Finì in tragedia per molti cittadini ex-sovietici, ma non arrivò l'apocalisse. Ci furono conflitti etnici periferici e migliaia di morti anche a causa della povertà.

Era necessario dare una continuità del potere su quell'immenso spazio di 11 fusi orari.

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Il caos criminale e la mancanza di legge e ordine finì con l'arrivo di Vladimir Putin al potere nel 2000.

"La continuità maggiore è quella di un apparato centrale che poi Putin ha ripristinato pienamente chiamandola la verticale del potere" spiega Andrea Graziosi.

Quell'immenso spazio che è la Russia pensa di avere ancora molti conti in sospeso con le ex repubbliche. Tutte questioni irrisolte dal Baltico al Mar Nero fino in Asia Centrale.

Ecco perché la fine dell'Urss non può essere relegata a una mera liturgia celebrativa, ma è di stretta attualità con le tensioni tra Russia, Ucraina e Nato di questi ultimi anni e giorni.

Un monito all'Europa alla ricerca di un'identità, non solo per ragioni di sicurezza, ma della realizzazione di una sua architettura plurinazionale:

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"il sogno di un'Europa nazione resta un sogno, perchè l'Europa è fatta da realtà nazionali diverse. L'Urss e la Jugoslavia ci mostrano che uno Stato plurinazionale è una cosa molto complicata. È la lezione da trarre" dice Graziosi, che infine ci offre un aneddoto sul significato della fine dell'Urss e del marxismo-leninismo per il Partito comunista italiano:

"paradossalmente quello che ridiede fiato al filo-sovietismo in Italia, e che secondo me ha conseguenze molto gravi, è l'innamoramento per Gorbaciov a riforme fallite. Anche qui c'è stata una catastrofe ideologica".

E per finire, un ricordo personale per mostrare quanto la cultura russa e sovietica contò per milioni di italiani:

"io mi chiamo Andrea, perché mia madre aveva letto Tolstoij".

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