Dopo la strage di sabato, in cui i militari autori del golpe del 1° febbraio hanno ucciso oltre 110 persone, i manifestanti per la democrazia sono tornati per le strade del Myanmar. Anche il Presidente Usa Biden condanna le violenze. Ma per ora la comunità internazionale si limita alle parole...
Non si ferma la lotta per la libertà nell'ex Birmania.
I manifestanti pro-democrazia in Myanmar sono tornati nelle strade il giorno dopo la strage di sabato, quando i militari hanno sparato sulla folla, causando oltre 110 vittime, portando il numero dei civili morti a piu di 450, dal colpo di stato del 1° febbraio scorso.
L'arsenale "fatto in casa"
Alcuni manifestanti, per lo più giovani e giovanissimi, stanno combattendo con il loro arsenale casalingo, fatto di archi, frecce, fionde e bombe molotov.
Finora, il loro uso principale sembra essere quello di creare fiamme e fumo per disturbare le forze di sicurezza che cercano di aprire il fuoco sui civili.
I funerali dei manifestanti uccisi nelle violenze sono ormai quotidiani, a decine. E ogni cerimonia attira grandi folle.
Le forze di sicurezza del nuovo governo militare del Myanmar (appoggiato dalla Russia) sono accusate di sparare indiscriminatamente non solo contro i manifestanti nelle strade, ma anche di sparare nelle case vicine. E addirittura di entrare negli ospedali e dare il colpo di grazia ai feriti.
La comunità internazionale: solidarietà a parole
Dopo che il Segretario generale dell'ONU, António Guterres, si è detto disgustato dalle violenza in Myanmar, Il Presidente americano Joe Biden si è aggiunto alla condanna internazionale.
La repressione da parte dei militari ha spinto un esperto di diritti umani dell'ONU ad accusare la giunta di commettere `"omicidi di massa'', mentre una delegazione dell'Unione europea presente in Myanmar ha descritto le sparatorie di sabato come una "giornata di assoluto terrore e follia".