Mediatrice dell'accordo siglato due giorni fa, Mosca comincia a muoversi con scioltezza sullo scacchiere caucasico. La Turchia non intende perdere posizioni
I nodi dell'accordo sul Nagorno Karabakh cominciano a venire al pettine.
Per garantire il rispetto dell'accordo di pace, siglato lo scorso 10 novembre, la Russia ha iniziato il dispiegamento dei primi contingenti di circa 2000 militari. Arriveranno mano a mano che le forze armene partiranno e che il territorio tornerà sotto il controllo dell'Azerbaigian.
La presenza turca non è prevista come ha ricordato il ministro degli Esteri Sergey Lavrov: "Il centro di monitoraggio della pace per i rappresentanti turchi opererà esclusivamente in modalità remota, utilizzando mezzi tecnici di controllo, inclusi droni e altre tecnologie che consentono di determinare la situazione sul terreno in Karabakh, principalmente sulla zona di contatto, e per controllare chi osserva il cessate il fuoco e chi no".
A pace fatta, Ankara aveva sostenuto la necessità della presenza turca in cabina di regia per controllare il cessate il fuoco. L'idea era un centro d'osservazione russo-turco in territorio azero che non ha niente ache vedere con le forze impegnate a mantenere la pace dispiegate nel Karabakh.
Il punto di vista russo non combacia con quello azero. Il presidente Ilham Aliev ha dichiarato che i turchi dovrebbero partecipare alla missione di peacekeeping. E di questo ne è convinta anche la Turchia, il ministro degli Esteri turco Cavusoglu ha ribadito che i turchi dovrebbero partecipare alla missione di pace sullo stesso piano russo. Una cosa è certa, la presenza dei turchi nel Caucaso che è aumentata negli ultimi anni ha indotto Mosca a intervenire.
"La presenza turca nella regione si sta rinforzando da anni ormai e per Mosca non è altro che la conseguenza di un nuovo ordine" spiega Alexander Gabuev, ricercatore a Mosca della Fondazione Carnegie per la pace internazionale.
Dal conflitto, secondo gli analisti turchi e russi ne escono rinforzati, la grande perdente resta l'Armenia.