A Lesbo non c'era solo Moria: chiudono anche due strutture in cui i migranti si sentivano al sicuro

Il Pikpa camp nell’isola di Lesbo
Il Pikpa camp nell’isola di Lesbo Diritti d'autore Foto: Elena Kaniadakis
Diritti d'autore Foto: Elena Kaniadakis
Di Elena Kaniadakis
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Erano strutture piccole, dalla gestione umana, in cui i migranti si sentivano protetti. Ora il governo greco vuole sgombrarle per trasferire tutti in un maxi-centro. Nessuno degli ospiti sa dove andrà quando la struttura verrà chiusa.

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A quattro settimane dall’incendio che ha distrutto il più grande campo profughi d’Europa, Moria nell’isola di Lesbo, non è ancora chiaro quale struttura di accoglienza verrà costruita sulle ceneri della vecchia. 

Nel frattempo, mentre alcuni profughi vengono evacuati dall’isola per alleggerire il numero dei residenti del campo provvisorio di Kara Tepe, **due altri piccoli campi sull’isola, definiti da diverse Ong e dai migranti che vi hanno risieduto “l’anti Moria”, stanno per chiudere. **

Si tratta del Pikpa camp e del primo campo di Kara Tepe, da non confondere con quello, più grande, che è stato costruito lì accanto per offrire un rifugio provvisorio ai 13mila sfollati del campo di Moria.

Più di circa 160 associazioni hanno firmato in questi giorni una lettera in cui si chiede al ministro per l’Immigrazione e l’asilo greco e all’amministrazione locale di Lesbo di tornare sui propri passi. “Le autorità non solo dovrebbero revocare la decisione di chiudere queste strutture ma, in questo momento di grande bisogno, dovrebbero rafforzare e proteggere ulteriormente tutte le soluzioni alternative dignitose per l'alloggio e la protezione dei richiedenti asilo” si legge nella lettera.

Il primo campo di Kara Tepe, gestito dalla municipalità di Lesbo, era stato costruito per accogliere circa mille migranti considerati vulnerabili e ospitati quindi in un ambiente più raccolto rispetto al campo di Moria. 

Il Pikpa camp, invece, era un campeggio per bambini che nel 2012 venne trasformato da un gruppo di cittadini in una struttura per accogliere i migranti. A fine settembre, il ministro per l’Immigrazione e l’Asilo Notis Mitarakis ha annunciato che entro la fine dell’anno entrambe le strutture verranno chiuse.

“Ogni volta che Moria andava a fuoco o i richiedenti asilo dormivano nel porto di Mitilene, nelle strade e nei parchi, il Pikpa c’era, lavorando con l’amministrazione” racconta a Euronews Carmen Dupont, portavoce della ong “Lesvos solidarity” che organizza le attività del Pikpa camp. “Nel momento del bisogno le autorità greche hanno sempre riconosciuto il centro. Ora però, per ragioni politiche ci hanno detto che entro il 15 ottobre la struttura verrà sgomberata. Non sappiamo cosa ne sarà di noi” racconta.

Foto: Elena Kaniadakis
I resti del campo di Moria dopo l’incendio dell’8 settembreFoto: Elena Kaniadakis

Come spiegato dal quotidiano locale di Lesbo, Sto Nisi, una lettera del Segretariato generale per la solidarietà sociale e il controllo della povertà, che fa capo al Ministero del Lavoro greco, ha chiesto di evacuare il centro.
 Secondo il Ministero, lo spazio "è stato occupato illegalmente e vengono svolte azioni senza autorizzazione non in linea con lo status dello spazio".

Tra i pini delle piazzole del campo e i vestiti stesi ad asciugare tra le casette prefabbricate, migliaia di persone richiedenti asilo hanno trovato riparo a Pikpa. Oggi circa cento migranti vivono nel campo, di questi venti sono minori non accompagnati.

Safiqeh*, è ospite della struttura con la figlia e il marito da diversi mesi. “Per noi era impossibile vivere a Moria” racconta a Euronews. “Come afghani cristiani venivamo perseguitati dalla maggioranza musulmana. Due volte di notte sono venuti con i coltelli nella mia tenda. A Pikpa finalmente posso vestirmi come voglio senza avere paura per me e la mia bambina, ho imparato l’inglese e posso sperare di nuovo in un futuro”. 

Safiqeh spiega che sta aspettando di ottenere l’asilo, ma con l’incendio di Moria le pratiche hanno subito un ulteriore rallentamento, e ora che la struttura sta per essere sgomberata non riesce di nuovo a dormire la notte.

Ahmad* invece è un insegnante di inglese iraniano: anche lui è stato allontanato dal campo di Moria e accolto nel Pikpa perché, in quanto appartenente alla comunità Lgbtq, ha rischiato la vita più volte. “Secondo i miei compagni di tenda l’Islam incita ad uccidere le persone come me, che nel campo rischiano di essere picchiate, stuprate o uccise” racconta a Euronews. Da quando a Pikpa si è diffusa la notizia dello sgombero, Ahmad è terrorizzato dall’idea di essere trasferito nella “nuova Moria”.

A Euronews fonti ufficiali del Ministero per l’Immigrazione e l’Asilo fanno sapere che per gli ospiti delle strutture di Kara Tepe del Pikpa camp sono previste “accelerated asylum procedures”, ovvero procedure accelerate per smaltire le richieste di asilo. 

Un destino incerto per chi vive a Kara Tepe e Pipka camp

L’obiettivo, in base a quanto spiegato, sarebbe non lasciare nessun residente, al momento della chiusura, in attesa di conoscere ancora l’esito della sua domanda di asilo. Nel caso in cui la procedura non fosse stata ancora ultimata, secondo le fonti del Ministero, il residente verrebbe trasferito nel nuovo campo di Kara Tepe. Non è possibile comunque stabilire, adesso, quanti ospiti delle due strutture otterrebbero l’asilo e quanti rimarrebbero a Lesbo, nel nuovo campo.

Foto: Elena Kaniadakis
Il Pikpa camp nell’isola di LesboFoto: Elena Kaniadakis

Carmen Dupont raccontache le autorità greche non si sono messe in contatto con il Pikpa e che nessuno degli ospiti sa dove andrà quando la struttura verrà chiusa.

Inoltre, contattato da Euronews, il Ministero del lavoro, attraverso il suo ufficio stampa, ha fatto sapere che non ci sono ancora progetti sul futuro della struttura del Pikpa camp dal momento in cui non è stata ancora sgomberata.

“In generale, più piccola è la struttura abitativa maggiore è la possibilità, per i migranti, di avere una buona salute mentale e come tale anche un migliore percorso di integrazione” spiega Ilse Derluyn, presidente del Centre for the Social Study of Migration and Refugees, e tra gli accademici che hanno firmato la lettera per chiedere al governo greco di non chiudere Kara Tepe e il Pikpa.

“I ‘fattori di stress quotidiani’ amplificati da spazi molto grandi sono noti per avere un impatto fortissimo sul benessere dei rifugiati. Inoltre, la mancanza di sicurezza in questi contesti aumenta il rischio che si verifichino eventi traumatici, come violenze fisiche e sessuali, che si aggiungono all'impatto negativo di traumi precedenti vissuti nel paese d’origine o lungo il viaggio” commenta Derluyn.

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La volontà del governo greco: condensare tutti i migranti in un'unica, maxi struttura per poi ricollocarli

Secondo le fonti del Ministero per l’Immigrazione e l’Asilo contattate da Euronews, tuttavia, la chiusura del Pikpa e di Kara Tepe risponde all’esigenza di condensare in un’unica struttura i migranti presenti sull’isola di Lesbo, per facilitarne la gestione con la collaborazione dell’Unione europea.

Il 10 settembre scorso il vicepresidente della Commissione europea Margaritis Schoinas, giunto a Lesbo dopo l’incendio, aveva annunciato la creazione, con i fondi dell’Ue, di un nuovo campo sull'isola. Nel settembre scorso, inoltre, il governo greco aveva promesso di evacuare dall’isola di Lesbo tutti i migranti entro la Pasqua dell’anno prossimo.

Il 5 ottobre altri circa 900 migranti residenti nel campo costruito dopo l’incendio di Moria sono stati trasferiti da Lesbo alla Grecia continentale, facendo scendere il numero dei migranti ospitati a Lesbo a 9.418, e quello degli abitanti del campo temporaneo a 7.616.

Contattato da Euronews, l’Oim, l’Organizzazione internazionale per le migrazioni, fa sapere di non essere al corrente dei progetti futuri su Pikpa e Kara Tepe, aggiungendo che: “la nostra priorità in questo momento è sostenere gli sforzi del governo greco per ridurre il sovraffollamento delle isole con opzioni sostenibili, tra cui il continuo trasferimento di persone ammissibili dalle isole alla terraferma, il trasferimento di molti bambini non accompagnati e di altri richiedenti asilo vulnerabili in altri Stati europei”.

“Sappiamo bene che il Pikpa da solo non può essere la soluzione, ma qui abbiamo cercato di creare un posto in cui residenti venissero riconosciuto come tali” racconta a Euronews Joaquin, un attivista di Lesvos Solidarity.

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“Se la polizia alla fine verrà a sgomberare con la forza il Pikpa, troverà la struttura vuota. Non vogliamo che le persone che ora ci abitano assistano: hanno già sofferto abbastanza” afferma.

*nome di fantasia per tutelare la privacy dell'intervistato

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