Věra Jourová: "Ci siamo illusi che lo stato di diritto fosse un dato acquisito"

Věra Jourová: "Ci siamo illusi che lo stato di diritto fosse un dato acquisito"
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Di Sandor Zsiros
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La Commissione europea ha presentato la sua prima relazione sullo stato di diritto. Ai nostri microfoni Věra Jourová ci svela che il problema non sono solo Ungheria e Polonia...

**Difesa dello stato di diritto nell'Ue, lotta alla corruzione, alla disinformazione e all'influenza delle potenze straniere. Věra Jourová, vicepresidente della Commissione europea ai valori e alla trasparenza, apre per noi la "cassetta degli attrezzi" dell'Europa. **

Stato di diritto nell'Ue: un problema dei 27

La questione dello Stato di diritto è diventata centrale nell'Unione europea nell'ultimo decennio. I riflettori sono puntati soprattutto su Ungheria e Polonia, accusate da molti di non essere all'altezza degli standard democratici dei Ventisette. Secondo Bruxelles, Budapest e Varsavia non rispettano i valori europei. Ma la Commissione europea ha deciso di ampliare l'orizzonte e di valutare i livelli di democrazia e corruzione in ciascuno dei 27 stati membri.

La nostra ospite è Věra Jourová, vicepresidente della Commissione europea ai valori e alla trasparenza. Lei ha appena presentato la prima relazione della Commissione europea sullo stato di diritto. Ma quanto è sana la democrazia europea?

"Questo è un momento importante. Perché abbiamo presentato questa relazione ? Non è una relazione come tante altre, perché avevamo bisogno di fare una valutazione precisa della situazione in tutti gli Stati membri. Abbiamo preso in considerazione la situazione in ambito giudiziario, in particolare l'indipendenza della magistratura e l'equilibrio dei poteri dello Stato. Abbiamo anche esaminato che cosa fanno gli Stati membri contro la corruzione. E infine abbiamo considerato la situazione dei media, che non sono solo attori economici, ma ricoprono anche un ruolo cruciale nella protezione della libertà di espressione e della democrazia".

Quali sono i risultati principali della relazione? Dove si constatano più problemi riguardo la libertà dei media, il sistema giudiziario e la corruzione?

"I problemi principali si riscontrano in ambito giudiziario, c'è una tendenza a imporre maggiori pressioni politiche sul sistema giudiziario, sui giudici, in particolare da parte del potere esecutivo, dei governi. Dobbiamo avere la certezza assoluta che in ogni paese ci siano giudici indipendenti che decidono in base alla legge, non in base a chi viene giudicato o a come bisogna gestire la situazione politicamente. E questo è un principio molto chiaro, l'eguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge, un principio che va salvaguardato dai giudici. Quindi la politicizzazione della magistratura, così come le pressioni politiche ed economiche sui media che vediamo in molti paesi, sono tendenze che si stanno aggravando. I media hanno un ruolo molto importante nel difendere la democrazia e nel mostrare la realtà per quella che è. I giornalisti professionisti che hanno un elevato livello di responsabilità naturalmente sono coloro che dovrebbero fornire informazioni oggettive ai cittadini. Perché vogliamo che i cittadini siano ben informati per poter esprimere i loro giudizi e le loro scelte, in particolare in occasione delle elezioni. Quanto alla lotta alla corruzione, be', dobbiamo fare di più in alcuni paesi. Vediamo che esistono meccanismi sufficienti e ben funzionanti per combattere la corruzione. Ma in alcuni paesi la situazione non è la stessa. Questo si riflette anche nella percezione che hanno cittadini e imprese in alcuni paesi, dove semplicemente non credono che le loro istituzioni siano in grado di combattere la corruzione come si deve. E penso che questo sia anche il fattore su cui dobbiamo concentrarci di più".

Per due paesi è stata avviata la procedura dell'articolo 7, Ungheria e Polonia. Pensa che siano ancora democrazie funzionanti?

"Noi abbiamo trattato con completezza i problemi che vediamo, e abbiamo espresso le nostre preoccupazioni nei diversi documenti e analisi che riguardano Polonia e Ungheria. Abbiamo già attivato la procedura dell'articolo 7 per entrambi i paesi. È importante che questa procedura vada avanti.  E la relazione di oggi è complementare alle misure e agli strumenti che ho appena menzionato. Risponde anche alle richieste di Polonia e Ungheria, che ci hanno invitati a rivolgere la nostra attenzione anche verso gli altri. E penso che sia un momento molto importante quello in cui vediamo la situazione negli stati membri descritta sulla base di criteri oggettivi. Abbiamo cercato sinceramente di essere obiettivi nella valutazione. Il metodo utilizzato era molto trasparente e inclusivo. E gli Stati membri hanno cooperato".

Vede una volontà da parte di questi paesi di cooperare e di lavorare su questi punti di cui avete parlato nella relazione?

"Abbiamo visto una volontà di cooperare da parte di tutti gli Stati membri. È stato un esercizio molto impegnativo. I nostri colleghi hannno valutato le relazioni e i risultati delle discussioni di, credo, 300 organismi diversi e di tutti gli Stati membri. Quindi la volontà c'è stata, e penso che facendo questo lavoro, introducendo questo strumento preventivo, che è la relazione che presentiamo oggi, diamo più enfasi o più slancio all'importanza di proteggere e difendere attivamente lo stato di diritto negli Stati membri, e al fatto che questo dovrebbe essere di interesse comune. Non può essere solo compito della Commissione europea. Non possiamo lavorarci da soli. Quindi devo dire che sono rimasta piacevolmente sopresa dal livello e dalla qualità della collaborazione. Questa che presentiamo oggi è la prima edizione, sarà una relazione annuale, quindi l'anno prossimo vedremo qual è la tendenza. Che cosa faremo con quello che scopriremo? In molti casi, si aprirà una porta al dialogo con i diversi Stati membri".

"Ci siamo illusi che lo stato di diritto fosse un dato acquisito"

Come si diceva, i problemi non ci sono solo in Polonia e Ungheria. La relazione evidenzia difficoltà anche nei sistemi giudiziari di Bulgaria, Romania, Croazia e Slovacchia. Sempre in Bulgaria, e a Malta, i media sono legati a forze politiche, mentre in Spagna, Slovenia, Croazia e, ancora una volta, Bulgaria, i giornalisti vengono spesso minacciati o fatti oggetto di attacchi.

Vediamo degli insospettabili tra questi paesi. Che cosa la preoccupa di più a parte Ungheria e Polonia?

"In alcuni stati vediamo soprattutto una tendenza negativa nel mondo dei media. C'è anche una mancanza di azione, in particolare indagini e azioni penali per i reati nel mondo della finanza. Ecco perché allo stesso tempo abbiamo cercato di spingere la proposta di collegare al principio dello stato di diritto indagini o procedimenti penali efficaci contro le frodi finanziarie. Quindi ora stiamo ampliando la cassetta degli attrezzi e il numero di strumenti che abbiamo a disposizione, perché, parlando di denaro, ci troviamo attualmente in una situazione in cui dobbiamo distribuirne di più. E questo denaro dovrebbe servire a fare qualcosa di buono. Devo anche menzionare il fondo di recupero, che dovrebbe aiutare tutti gli stati membri a uscire dalla crisi provocata dal Covid. Ed è per questo che non possiamo conservare un sistema in cui si aumenta la quantità di denaro distribuito e al tempo stesso c'è questo calo di fiducia. Dobbiamo introdurre altre garanzie".

Siamo nella fase dei negoziati sul bilancio, come ha ricordato. Ma i soldi sono davvero l'unico modo di convincere questi paesi a rispettare i valori europei?

"Certo che no. Dobbiamo impiegare tutte le misure e gli strumenti che abbiamo a disposizione. Quanto ai soldi... Be', penso a un avvertimento molto serio per tutti gli stati che potrebbero continuare a violare il principio dello Stato di diritto, imponendo condizioni alla distribuzione dei fondi. I contribuenti degli Stati membri, in particolare di quelli che sono contributori netti, vogliono più garanzie. E non dobbiamo abbandonare il dialogo con gli Stati membri, soprattutto con quelli che ci preoccupano. Dobbiamo semplicemente ammettere a noi stessi che in passato siamo stati ingenui, ci siamo illusi che il principio dello Stato di diritto fosse un dato acquisito, che avrebbe funzionato senza problemi, che fosse automatico, in una sorta di moto perpetuo, che i diritti fondamentali sarebbero sempre stati rispettati ovunque, che la protezione delle minoranze sarebbe stata presente ovunque. Be', è abbastanza evidente che dobbiamo aumentare la pressione sui paesi membri perché si rendano conto che questi sono i principi inviolabili del club. Perché ancora una volta è una questione di fiducia, di fiducia fra gli stati membri, per esempio il fatto di poter essere certi che i tribunali lavorino in modo indipendente ovunque con la stessa qualità e certezza della pena. E anche questo riguarda la fiducia nelle istituzioni. E anche qui vediamo che c'è un problema. La fiducia nelle istituzioni sta diminuendo".

Non è ingenuo pensare che questi paesi alla fine approveranno questa condizionalità di bilancio? Possono porre il veto.

"I negoziati sono in corso. E io non vorrei già arrendermi in questa fase o anche solo dire qualcosa che potrebbe mettere in discussione l'importanza di questa proposta".

Questa settimana il primo ministro ungherese Viktor Orbán ha chiesto le sue dimissioni perché in un'intervista lei ha detto che il suo regime è una democrazia malata. Si pente di questa formulazione?

"No, non me ne pento. Ho detto quello che ho detto. E ho detto forse centinaia di volte che nutriamo serie preoccupazioni per quanto riguarda la situazione in Ungheria. Stavolta ho usato parole diverse, ma ho parlato della stessa cosa e di preoccupazioni serie. C'è stato qualche fraintendimento, perché ricordo molto bene che il messaggio principale nella mia intervista era che la prima e ultima parola devono essere dei cittadini, del popolo ungherese. Io rispetto moltissimo il popolo ungherese e le sue libere scelte. Riconosco che il primo ministro Orbán ha vinto le elezioni, e ho detto solo che dobbiamo assicurarci che in tutti gli stati membri, inclusa l'Ungheria, ci siano tutte le condizioni per garantire ai cittadini una scelta libera ed equa".

La lettera in cui Viktor Orbán chiede le dimissioni di Věra Jourová

E pensa che questa possibilità di scelta libera ed equa alle elezioni esista ancora in Ungheria?

"Devono essere soddisfatte diverse condizioni. Prima di tutto, parità di condizioni nelle campagne politiche, e trasparenza per esempio sul finanziamento delle campagne, su come vengono finanziate. Poi, bisogna garantire la libertà di espressione, il buon funzionamento dei media e il controllo da parte della magistratura, perché potrebbe verificarsi una situazione in cui i risultati delle elezioni in qualsiasi paese siano messi in discussione, e allora spetta ai tribunali decidere. Quindi, laddove esistano queste condizioni, parliamo di elezoni libere ed eque".

Come si comporterà in futuro con il governo ungherese, che vuole tagliare i ponti con lei?

"Sono pronta al dialogo con tutti gli Stati membri e tutti i partner".

Come può la Commissione promuovere il pluralismo dei media in Europa?

"È un argomento difficile, devo dire, perché non abbiamo competenze legali molto forti, ne abbiamo alcune. Ad esempio, ora, il 20 settembre, è entrata in vigore la direttiva sui servizi di media audiovisivi, e noi osserveremo come gli Stati membri la implementano nella loro legislazione nazionale, soprattutto nella pratica. Finora solo alcuni paesi membri ne hanno notificato l'implementazione. Quindi esamineremo quest'aspetto e utilizzeremo le nostre competenze legali. Ma per il resto, non abbiamo competenze legali sufficientemente forti. E abbiamo raccomandato più volte agli stati membri di proteggere o aiutare i media ora, in tempo di Covid, perché possano sopravvivere economicamente. E ci sono diversi Stati membri che ora stanno sostenendo economicamente anche i media, per aiutarli a conservare i posti di lavoro. E così via. Ci sono diversi modi per farlo, e credo che sia compreso bene il fatto che cerchiamo di sostenere i media indipendenti, perché sono pesantemente necessari".

La "normalità" in era Covid

La pandemia ha spinto molti paesi europei a ricorrere allo stato d'emergenza, con leggi e decreti che hanno limitato le libertà civili e la libera circolazione dei cittadini. Parallelamente, una nuova ondata di fake news e disinformazione si è diffusa su Internet. All'origine di molti di questi casi d'informazione ingannevole c'erano Russia e Cina.

Pensa che dopo la pandemia di Covid potremo tornare a una sorta di vecchia normalità in termini di democrazia?

"Per molti versi la vecchia normalità non era una buona normalità. Avevamo già problemi prima del Covid. Il periodo del Covid ha richiesto il ricorso a regimi di emergenza nella maggior parte degli Stati membri. Quindi ci siamo impegnati molto per cercare di convincere gli Stati membri a rispettare il principio di necessità e di proporzionalità per i provvedimenti adottati, perché un regime d'emergenza non significa mettere da parte gli equilibri costituzionali, togliere potere alla magistratura, o mettere a tacere i media o gli attivisti. Quindi, per quanto riguarda il periodo del Covid e i regimi d'emergenza, abbiamo detto molto chiaramente che cosa volevamo che fosse fatto. Tra l'altro, è stata anche sollevata la questione della protezione della privacy, e noi abbiamo fornito agli Stati membri le linee guida su come utilizzare le app di tracciamento senza esagerare e senza violare la privacy delle persone. E penso che sia questa la lezione per il futuro. Lei parla di nuova e vecchia normalità. Be', è un processo senza fine. Come dicevo, siamo stati ingenui, abbiamo pensato che certe cose fossero automatiche. Non lo sono. Quindi proseguiremo nella difesa dello Stato di diritto e della democrazia in Europa. E voglio dire che dovremmo smettere di dichiararlo e basta, e cominciare a farlo davvero: difendere e proteggere di più Stato di diritto e democrazia".

Con la pandemia è arrivata anche un'ondata di fake news. Avete gli strumenti per combatterle o pensa che le cose resteranno così?

"È uno dei fattori che mostrano bene in che modo certe situazioni dell'era pre-Covid sono state amplificate in era Covid. Già prima avevamo grossi problemi con le influenze straniere e con le campagne di disinformazione. Avevamo diversi settori sotto attacco permanente da parte delle campagne di disinformazione: le minoranze, l'immigrazione... Ora si attaccano le politiche verdi, e un'altra novità è la grossa e intensa ondata di disinformazione contro i vaccini. Insomma, non è nulla di nuovo, è un fenomeno che va affrontato, ma con grande cautela e intelligenza. E io posso dirvi solo che stiamo studiando alcune nuove regole per il mondo online, ma contro la disinformazione non introdurremo nessun tipo di censura o di limitazione alla libertà di espressione".

Come gestite i tentativi di disinformazione da parte di potenze straniere, in particolare Cina e Russia?

"Il nostro Servizio per l'azione esterna sta lavorando attivamente per rilevare questi attacchi coordinati e questi tentativi di influenzare l'opinione pubblica nell'Unione europea. Stiamo lavorando con diverse piattaforme internet perché vogliamo che informino il pubblico su questi casi, in modo che gli utenti sappiano che si tratta di pressioni esterne. Inoltre, vogliamo che i cittadini capiscano meglio qual è lo scopo di questa pressione, qual è lo scopo delle diverse campagne di disinformazione. Probabilmente io come cittadina sono sotto l'influenza di qualcuno che vuole davvero distrarre la nostra società e che vuole seminare odio e sfiducia verso le istituzioni. Penso che abbiamo un grosso lavoro da fare per chiarire qual è lo scopo della disinformazione e far capire che può essere molto pericolosa".

Ora le relazioni dell'Europa con la Russia hanno subito un nuovo colpo con il caso Navalny. Pensa che l'Europa dovrebbe imporre sanzioni alla Russia?

"Penso che se ne stia discutendo nell'ambito del Servizio per l'azione esterna e del Consiglio degli affari esteri. Si tratta davvero di un duro colpo, e non possiamo esimerci dal reagire. Sono assolutamente certa che rappresenti un punto di svolta nelle nostre relazioni".

Pensa che ci possa essere unità su quest'argomento in Europa?

"Abbiamo bisogno di unità per le sanzioni".

Journalist • Selene Verri

Risorse addizionali per questo articolo • Versione italiana: Selene Verri

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