Com'è lavorare da casa a Tripoli senza acqua, elettricità, Internet e tra le bombe

Com'è lavorare da casa a Tripoli senza acqua, elettricità, Internet e tra le bombe
Diritti d'autore Veduta aerea di Tripoli dopo l'attacco alla base militare di Abusleim, il fumo si leva per parecchi km - Foto: Cortesia di Moayed Zoghdani
Di Lillo Montalto MonellaAmera Markous
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Se pensate che il telelavoro sia duro, leggete le testimonianze che arrivano dalla capitale libica.

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La pandemia di Covid-19 è stata paragonata a una guerra. Secondo alcuni si tratta di un accostamento improprio, ma la verità è che siamo fortunati. Là fuori, mentre cerchiamo di lavorare da casa, non esplodono davvero delle bombe.

Succede, non lontano da noi, a Tripoli. Qui la popolazione locale si trova in pieno lockdown sulla linea del fronte. Se pensate che il telelavoro sia duro, leggete le testimonianze che arrivano dalla capitale libica.

Concentrarsi mentre tutto intorno cadono bombe

"Lavoro da casa con i proiettili che cadono nelle aree circostanti. Un mio amico è morto di recente", dice Moayed Zoghdani, operatore umanitario per un'agenzia internazionale. "Ho difficoltà a causa delle interruzioni alla rete Internet che non mi permettono di inviare il mio lavoro in tempo. E per la prima volta in vita mia ho iniziato ad avere dolori di stomaco, il mio umore è davvero a terra".

Questo il video che Zoghdani ha registrato dal suo appartamento: si sentono colpi di artiglieria proprio fuori dalla finestra di casa sua.

مساء الصواريخ 💔 #ليبيا #طرابلس

Publiée par Moayad Zaghdani sur Lundi 13 avril 2020

Dopo settimane a casa, Zoghdani è uscito per fare una passeggiata nel quartiere. "Stavo registrando un video per una storia su Instagram quando all'improvviso è arrivato un missile".

Anche Tahany Belkeheir, altro operatore umanitario, vive in una zona di conflitto. "I bombardamenti sono molto vicini a casa mia, in Ain Zara", racconta.

Nel mese di Ramadan, il conflitto si sta intensificando e lavorare da casa può essere davvero impegnativo, "anche per chi ha il privilegio di avere un generatore di elettricità e di acqua a casa", indica Amera Markous, attivista e operatrice umanitaria. "Fortunatamente le bombe non cadono direttamente nella mia zona, tranne qualche volta che sono arrivate a 2km da casa mia, ma continuiamo a sentire bombardamenti tutti i giorni. Devo cercare ogni giorno le motivazioni, vedendo le sofferenze dei miei amici e delle famiglie sfollate o senz'acqua. É sconvolgente, ti fa sentire impotente".

La postazione di lavoro di Markous: i due quadrati grigi sul pavimento contengono cisterne d'acqua in caso di necessità.

I generatori di corrente non possono rimanere accesi tutto il giorno. "Cerchiamo di usarli solamente quando necessario anche perché il carburante non è sempre disponibile ed è molto più caro di prima", aggiunge Markous. "Ma è difficile, perché il mio lavoro dipende sia dalla connessione Internet che dalla copertura telefonica. A volte non riesco a mandare una singola email per oltre un'ora".

Nurhan Sabkha, anch'essa nel settore della cooperazione umanitaria, dice che lo smart working "è talvolta frustrante perché devo anche badare a mia figlia di quattro anni mentre lavoro full-time. Sono una sfollata interna, vivo vicino all'area di guerra. La quantità di pazienza, concentrazione e forza che mi viene richiesta in questo periodo è insopportabile nella maggior parte dei giorni".

Una collega, Khadija Sadera, ritiene che lavorare in remoto "insegni a gestire la pressione e lo stress, dovuto all'attuale situazione, ai blackout e alla debole connessione Internet".

Spesso devo registrare di nuovo le mie lezioni perché i video sono rovinati dal fragore delle bombe e dell'artiglieria nella mia zona.
Waad Treki
Insegnante di scuola elementare

Jaber Mazzida, impiegato di un'organizzazione che si occupa di cooperazione e sviluppo, confessa che lavorare da casa è un "piacevole diversivo dall'orribile traffico" di Tripoli, ma "è un'impresa e può compromettere il tuo contratto quando la tecnologia non ti supporta".

"Lavorare da casa è dura, specialmente quando sei madre di quattro figli e c'è il coprifuoco", afferma Asma Ghariba, operatrice umanitaria. "È come lavorare 24 ore al giorno".

"Ci vogliono una o due ore per svolgere attività normali che di solito ti prendono 15 minuti", aggiunge Hanan Markous, coordinatore IT per una compagnia petrolifera. "Il mio lavoro è tecnico e richiedere una buona connessione per accedere al sistema, è difficile. Inoltre, spesso quando c'è il blackout tutto il sistema collassa, e questo non fa altro che aggiungere pressione al team IT".

L'insegnante di scuola elementare Hanan Rawag ha creato un gruppo Facebook per comunicare con gli alunni e le loro famiglie, ma "non funziona più: gli studenti sono stressati e distratti dal conflitto e dalle interruzioni di corrente elettrica".

Stesse difficoltà incontrate anche da Waadi Treki, anch'essa professoressa. "Spesso devo registrare di nuovo le mie lezioni perché i video sono rovinati dal fragore delle bombe e dell'artiglieria nella mia zona. Lavorare da casa mi ha fatto capire che ciò che pensavo fosse una deprimente routine giornaliera - vedere gli studenti, interagire con i colleghi, essere stanca - era in realtà un anti-depressivo. Il lavoro era la mia fonte di distrazione che mi impediva di pensare alla guerra e mi spronava ad andare avanti".

"Nonostante tutti i tuoi migliori sforzi, quando accade qualcosa di molto semplice - come perdere il segnale o un blackout - ti lascia completamente indifeso", chiosa Ala Abdussamad, operatrice umanitaria.

Com'è la situazione dopo un anno di assedio

La capitale libica è cinta d'assedio da oltre un anno dalle forze del generale Khalifa Haftar, alla guida delle milizie supportate da Russia, Emirati Arabi Uniti e Egitto. La guerra civile dura dal 2011, quando il dittatore Mu'ammar Gheddafi è stato deposto e ucciso.

In Libia, dove le violenze non si sono fermate nonostante l'arrivo del coronavirus, si sono registrati 65 casi di infezione da Covid-19 e tre decessi.

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Le misure anti-Covid a Tripoli

In risposta alla pandemia, i viaggi aerei sono stati sospesi. Il governo di unità nazionale, riconosciuto dalle Nazioni Unite, ha imposto da metà aprile il lockdown nelle aree controllate. C'è un coprifuoco, che è stato esteso per altri 10 giorni, dalle 18 alle 6 del mattino. Si può uscire a fare la spesa al mattino perché i negozi chiudono a mezzogiorno. In un primo tempo era stato vietato l'uso delle macchine.

Sono chiusi i negozi di vestiti o altri generi non essenziali, anche se alcune municipalità non rispettano il decreto ufficiale e consentono l'apertura di bar o negozi d'abbigliamento, di norma molto frequentati durante il periodo di fine Ramadan.

Per festeggiare la fine del mese di digiuno, dal 24 al 26 maggio il lockdown durerà tutta la giornata, così da evitare assembramenti. Di solito, infatti, è l'occasione per molti amici e famiglie di rivedersi.

Anche a Tripoli, alcune persone hanno lasciato la capitale per andare nei propri comuni d'origine e godere di un Ramadan con meno restrizioni.

Nell'est del Paese, sotto il controllo di Haftar, è stato invece imposto un coprifuoco notturno.

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Manca l'acqua per lavarsi le mani

Come denunciato da un comunicato congiunto delle agenzie delle Nazioni Unite, la maggior parte delle città della Libia si trovano ad affrontare carenza di prodotti alimentari di base, accompagnata da un aumento dei prezzi. Presto la crisi sanitaria potrebbe diventare anche crisi alimentare.

Le riserve idriche sono state deliberatamente prese di mira o attaccate. L'approvvigionamento di acqua a Tripoli che dipende dalle falde acquifere del deserto, a sud, è stato tagliato da un gruppo armato sotto gli ordini del generale Khalifa Haftar.

L'acqua, inutile ricordarlo, è fondamentale per adottare quelle misure di base per prevenire la diffusione del virus come lavarsi le mani.

Per i migranti e i rifugiati, invece, la situazione non è cambiata di molto con l'arrivo del virus. Come testimonia uno di loro su The New Humanitarian, "la paura è sempre stata una costante, e la vita non è mai stata sicura. Siamo abituati all'incertezza, non sappiamo se avremo un posto dove dormire la notte o no".

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