Theresa May: una premiership definita e distrutta da Brexit

Theresa May: una premiership definita e distrutta da Brexit
Di Chris Harris
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"Le argomentazioni economiche sono chiare. Penso che far parte di un blocco commerciale da 500 milioni di abitanti sia significativo per noi. Molte persone investono qui nel Regno Unito perché il Regno Unito è nell'Unione Europea", disse nel 2016. La storia la conosciamo. Oggi l'ultimo atto.

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"Le argomentazioni economiche sono chiare. Penso che far parte di un blocco commerciale da 500 milioni di abitanti sia significativo per noi. Molte persone investono qui nel Regno Unito perché il Regno Unito è nell'Unione Europea".

Brexit, Theresa May annuncia tra le lacrime le sue dimissioni per il 7 giugno

Queste parole sono state pronunciate dell'allora ministro dell'Interno del Regno Unito durante la sua campagna affinché il Regno Unito rimanesse nell'Unione europea, un mese prima del referendum sulla Brexit. Mentre si rivolgeva alla platea di Goldman Sachs nel maggio 2016, ancora Theresa May non poteva immaginare quale impatto quel voto avrebbe potuto avere sulla sua carriera politica.

Si è trattato di un referendum che le ha aperto la porta di Downing Street, che ha definito il suo governo e ne ha, infine, distrutto la leadership.

Dopo aver vinto la corsa per succedere a David Cameron come Primo ministro britannico, il mantra di Theresa May è diventato "Brexit significa Brexit", un riferimento alla sua apparente determinazione a onorare i risultati del referendum.

La premier dimissionaria ha innescato il processo formale per il divorzio del Regno Unito dalla Ue nel marzo 2017. Un mese dopo, ha annunciato le elezione anticipate per consolidare il partito conservatore e capitalizzare le buone proiezioni dei sondaggi. La mossa le si è ritorta contro: il partito ha perso la maggioranza alla House of Commons e le ha impedito, in ultima istanza, di far approvare la sua intesa sulla Brexit.

Durante tutta la campagna elettorale, May ha ripetuto come un mantra che solo lei avrebbe potuto incarnare quella "leadership forte e stabile" necessaria per traghettare il Paese fuori dalla Ue. Eppure, non appena rivelati i dettagli del suo accordo sulla Brexit, una sfilza di ministri l'ha sfiduciata lasciando il governo in protesta contro quello che è stasto considerato un compromesso che non onora i risultati del referendum.

Ha iniziato ad apparire sempre più isolata in patria, e non solo: l'immagine di lei che si aggira tutta sola al vertice Ue, senza che nessuno le si avvicini per parlarle, è da questo punto di vista molto eloquente.

In alcuni ambienti è stata elogiata per la sua determinazione a onorare il risultato del referendum, nonostante l'accordo non piacesse né a chi desiderava restare nella Ue né a chi voleva ardentemente lasciarla. Quando è arrivato sul tavolo delle votazioni ai Comuni, è stato respinto con una sconfitta record nella storia democratica del Regno Unito. Non solo: è stato rimandato al mittente una seconda volta a metà marzo e una terza il 29 dello stesso mese, il giorno in cui il Regno Unito avrebbe dovuto teoricamente lasciare l'Ue.

Martedì scorso, May ha annunciato che in caso di approvazione della sua proposta, si sarebbe potuto tenere nel corso della stessa legislatura un nuovo referendum di conferma.

Tra le modifiche al suo accordo Brexit: l'obbligo legale di trovare alternative al backstop irlandese entro dicembre 2020; mantenimento della protezione ambientale di cui il Regno Unito gode come membro dell'Unione Europea; e una nuova legislazione per proteggere i diritti dei lavoratori.

Nella sessione di oggi alla Camera dei Comuni, i deputati hanno nuovamente fatto strame del suo accordo, innalzando la pietra tombale sulla sua leadership sul partito e sull'intera nazione.

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