Mentre il Paese inizia i funerali di massa, il vice Ministro della Difesa rivela l'impossibilità di identificare subito uno dei presunti attentatori
Gli attentati di domenica nello Sri Lanka sarebbero stati commessi in rappresaglia per il massacro avvenuto - ad opera di un suprematista bianco - in due moschee in Nuova Zelanda, nel quale lo scorso 15 marzo morirono 50 persone.
«Le indagini preliminari hanno rivelato che quello che è accaduto in Sri Lanka è una rappresaglia per l'attacco contro i musulmani a Christchurch», ha riferito in Parlamento il vice Ministro della Difesa, Ruwan Wijewardene, secondo il quale una nota dell'Intelligence è stata trasmessa al Governo nelle settimane precedenti all'attacco di Pasqua.
Tramite l'agenzia Amaq, intanto, l'ISIS ha rivendicato gli attentati, sinora attribuiti al NTJ, un gruppo islamista locale che, secondo le forze di sicurezza, non avrebbe però la capacità di organzzare un attacco coordinato di tale portata.
Per questo motivo gli investigatori, assistiti dall'FBI e dall'Interpol, ritengono che il gruppo fosse inserito in una rete internazionale.
Il Presidente del Paese, SIRISENA, intanto, ha visitato la chiesa di San Sebastiano a Negombo, preannunciando un cambio ai vertici delle Forze di Sicurezza del Paese.
Nel frattempo, il Paese rimane in massima allerta: è stato decretato lo stato di emergenza, mentre continuano gli arresti e le perquisizioni dei responsabili del bagno di sangue.
Intanto, nella chiesa di San Sebastiano, a Negombo, decine di bare sono state disposte per il saluto da parte dei loro cari: tra questi, c'è Sudesh Kolonne, emigrato in Australia, che nelle esplosioni ha visto morire di fronte agli occhi la moglie e la figlia di 10 anni.