Fukushima, no al "turismo nucleare". Il caso di Chernobyl

Fukushima, no al "turismo nucleare". Il caso di Chernobyl
Di Giacomo Segantini Agenzie:  REUTERS
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A Fukushima i tecnici in tuta antiradiazioni che lavorano alla bonifica sono di casa. A ciò si aggiunge il via vai dei giornalisti, in particolare

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A Fukushima i tecnici in tuta antiradiazioni che lavorano alla bonifica sono di casa. A ciò si aggiunge il via vai dei giornalisti, in particolare con l’avvicinarsi dell’anniversario del disastro nucleare del 2011. Cosa manca? Secondo un gruppo di imprenditori e sociologi, la risposta era: i turisti.

Ma il piano per portarli al sito senza tuta entro il 2036 è stato abbandonato: “La maggioranza dei giapponesi – spiega il responsabile Hiroki Azuma – non è neppure in grado di concepire l’idea che sia possibile trasformare un disastro di queste proporzioni in qualcosa che attiri le persone, o che costruire un museo per spiegare l’accaduto possa fornire una lezione alle generazioni future”.

Al di là delle finalità educative dichiarate, però, non erano stati in pochi a vedere nell’idea un lato un po’ macabro. La questione non ha mancato di creare un certo dibattito. C‘è chi parla dell’importanza di non dimenticare. E chi invece ricorda quanto sensibile sia l’argomento per la maggioranza dei giapponesi: “Non dovremmo usare la parola ‘turismo’ per quel che riguarda la regione costiera che comprende Fukushima”, dicono dall’ufficio del turismo.

Di diverso avviso gli organizzatori dei tour della centrale nucleare di Chernobyl: dal 2011, quando in cui il governo ucraino ha aperto le porte della zona, 15 mila persone all’anno hanno visitato il sito dell’incidente del 1986. Amanti dei luoghi abbandonati, appassionati di storia o semplici curiosi: un turismo non certo allegro, ma redditizio.

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