La seconda giornata è stata meno problematica della prima. Ma lo smantellamento della parte Sud della bidonville di Calais resta un’operazione
La seconda giornata è stata meno problematica della prima. Ma lo smantellamento della parte Sud della bidonville di Calais resta un’operazione delicata per la Francia.
Sul terreno della cosiddetta “giungla”, e sulla pelle dei migranti, s’affollano le ragioni dello Stato, quelle dei residenti di Calais e gli interventi dei gruppi come ‘No border’ che perseguono fini propri. Resta il problema di dove ricollocare migliaia di persone che in Francia non vogliono fermarsi.
“Distruggendo questo campo non si risolve nulla” dice Maya Konforti, una volontaria. “I rifugiati non spariscono, si rende solo un po’ più precaria la loro situazione. Qualcuno andrà a vivere nei container qualcun’altro nei centri migranti in giro per la Francia. Ma lo Stato non ha spazio abbastanza per tutti”.
In giro per la Francia sono 102 i cosiddetti centri per l’accoglienza e l’orientamento (in francese CAO: Centres d’Accueil et d’Orientation). Temuti dai migranti, perchè lì vengono identificati, legando di fatto la loro richiesta d’asilo alla Francia, in base alla legislazione europea sancita dagli accordi di Dublino.
“Distruggono la giungla, noi non sappiamo cosa fare. Ci sono problemi di cibo, non abbiamo i vestiti, tutto è un problema. Qui ci sono tante famiglie. Nessuno che ci aiuti. Noi siamo qui, non sappiamo cosa fare” dice Safi Lal Mohamed, un cittadino afghano.
Ieri il Ministro dell’Interno francese Bernard Cazeneuve ha difeso la politica dei ricollocamenti affermando che l’85% delle 3.000 persone inviate nei centri d’accoglienza ha fatto richiesta d’asilo in Francia.
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— Melting Pot (@MeltingPotEU) 1 marzo 2016