Cinque nuove misure di stimolo non fanno un secondo “Quantitative Easing“. Si può riassumere così la giornata della Banca centrale europea
Cinque nuove misure di stimolo non fanno un secondo “Quantitative Easing“. Si può riassumere così la giornata della Banca centrale europea, cominciata col vertice del Consiglio direttivo guidato dal governatore Mario Draghi. Il quale, in conferenza stampa, ha elencato le decisioni prese dall’Eurotower per combattere l’inflazione troppo bassa (0,1% a novembre contro un obiettivo del 2%)
Le decisioni odierne rafforzeranno lo slancio della ripresa economica dell'Eurozona. Il Consiglio direttivo continuerà a mantenere sotto stretto controllo gli sviluppi nella dinamica dell'inflazione
Primo, un’ampliamento a bond di amministrazioni locali e regionali del piano di acquisto di titoli di Stato. Secondo, un’estensione di quest’ultimo fino a fine marzo del 2017. Terzo, un abbassamento al -0,3% del tasso sui depositi al fine di scoraggiare le banche a parcheggiare fondi nei suoi forzieri e spingerle a erogare credito a famiglie e imprese. Quarto, il reinvestimento del capitale dei titoli comprati e arrivati a scadenza. Quinto, la prosecuzione delle operazioni di rifinanziamento a breve termine per le banche.
“Le decisioni odierne rafforzeranno lo slancio della ripresa economica dell’Eurozona. Il Consiglio direttivo continuerà a mantenere sotto stretto controllo gli sviluppi nella dinamica dell’inflazione”, ha detto Draghi. “E, se necessario, avrà volontà e capacità di agire utilizzando tutti gli strumenti disponibili all’interno del suo mandato al fine di mantenere la politica monetaria sufficientemente accomodante”, ha aggiunto.
I mercati finanziari, però, sono rimasti molto delusi dalle mosse della Bce: le speranze della vigilia, in particolare, erano per un aumento dell’importo degli acquisti mensili di titoli, oggi a 60 miliardi di euro (il cosiddetto “Qe2”). Le piazze europee hanno chiuso in profondo rosso, mentre l’euro ha registrato un’impennata a 1,09 nei confronti del dollaro, vanificando, in parte, gli sforzi contro l’inflazione dato che un euro più debole significa un aumento dei prezzi dei beni importati.