Saif al Islam Gheddafi, riformatore a metà

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L’altra faccia, quella meno tollerante, Saif al Islam Gheddafi la mostra ai rivoluzionari che nel 2011 insorgono contro il padre chiedendo la fine

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L’altra faccia, quella meno tollerante, Saif al Islam Gheddafi la mostra ai rivoluzionari che nel 2011 insorgono contro il padre chiedendo la fine del regime.
Fino a quel momento, il secondogenito del colonnello Gheddafi, indossa l’abito del riformista del governo libico ed è considerato l’erede legittimo del raìs.

Anche se non ha un incarico di governo ufficiale, forte di una formazione post universitaria conseguita all’estero, (dottorato alla London School of Economics), Saif al Islam Gheddafi ricopre un ruolo chiave nel riavvicinamento tra Libia e Occidente tra il 2000 e il 2011.

Dietro i negoziati per il rilascio delle infermiere bulgare, dell’indennizzo per l’attentato contro l’aereo della Pan Ami e quello contro la discoteca di Berlino, per fare solo alcuni esempi, c‘è sempre lui, che convince peraltro il padre a abbandonare il programma sulle armi nucleari.

Saïf al Islam cambia volto nel 2011, quando soffia anche in Libia il vento della rivoluzione portata dalla primavera araba. Contro i ribelli usa la repressione più dura che gli vale un mandato di arresto per crimini contro l’umanità della Corte penale internazionale.

Nel marzo del 2011, mette in guardia l’Occidente da un intervento armato in Libia.

“I francesi o gli europei dovrebbero parlare con i libici.
Avete visto i libici in piazza e in strada, li avete visti stamani. Questa è la vera immagine della Libia. Volete sostenere le milizie, fatelo pure, ma vi avviso, voi perderete e noi vinceremo”.

Le profezie di Saïf al Islam non si avverano. In un’intervista concessa a euronews, nel marzo del 2011, il giovane punta nuovamente il dito contro l’Occidente e lancia la sua invettiva contro la Francia.

“Sarkozy deve restituire i soldi che ha accettato dal governo libico perché finanziasse la sua campagna elettorale.
Abbiamo le prove, siamo pronti a riprenderci tutto. Chiediamo a Sarkozy, a questo pagliaccio, di restituire i soldi al popolo libico”.

Intanto i ribelli conquistano Tripoli, la fine del regime è vicina.

Ma lui si mostra più sicuro che mai, era il 3 luglio del 2011 quando disse:

“Nessuno creda che dopo il sacrificio di tante vite umane, ci arrenderemo smettendo di combattere”.

Dopo tre mesi di fuga, il 19 novembre del 2011, è catturato e rinchiuso nel carcere di Zitan.

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