Il referendum dell'8 e il 9 giugno chiede di ridurre da 10 a 5 gli anni di residenza ininterrotta e regolare necessari a una persona straniera per richiedere la cittadinanza italiana. La modifica della legge attuale faciliterebbe la vita ad almeno un milione e mezzo di persone
Una grande festa per celebrare l'Italia e gli italiani, anche quelli senza cittadinanza. Lunedì 2 giugno politici, attivisti e artisti si sono riuniti a Roma per promuovere il referendum sulla cittadinanza dell'8 e il 9 giugno, che chiede di abrogare una parte della legge 91 del 1992.
L'abrogazione, proposta dal segretario di +Europa Riccardo Magi, permetterebbe di ridurre da dieci a cinque anni la residenza ininterrotta e regolare che le persone straniere devono dimostrare per richiedere la cittadinanza italiana. Gli altri requisiti - reddito minimo, regolarità del soggiorno, assenza di precedenti penali, conoscenza della lingua italiana - rimarrebbero invariati.
È una modifica che da sola non basterebbe a riformare - come chiedono da almeno dieci anni diverse forze politiche e numerose associazioni del terzo settore - una legge ormai anacronistica che non tiene conto dei profondi cambiamenti demografici avvenuti nel Paese, ma che almeno farebbe un passo nella giusta direzione e potrebbe facilitare il prossimo futuro di circa un milione e mezzo di persone.
Dimezzare i tempi di residenza regolare porterebbe l'Italia in linea con le normative della maggioranza dei Paesi europei, tra cui Germania, Francia, Portogallo, Paesi Bassi e Regno Unito.
Le distorsioni causate dalla legge 91 del 1992
La legge attuale si basa sullo ius sanguinis e prevede che la cittadinanza sia acquisita per discendenza o filiazione, mentre per tutti gli altri vige il principio della naturalizzazione. Era stata pensata per garantire ai discendenti dei numerosi emigrati italiani all'estero di non perdere i diritti di cittadinanza.
Negli ultimi trenta anni il fenomeno migratorio si è ribaltato. In Italia vivono milioni di persone straniere che, nonostante siano perfettamente integrate, non hanno la cittadinanza italiana a causa di un iter burocratico complesso, costoso e molto lungo, che allunga di anni, perfino decenni, i tempi di attesa.
La distorsione maggiore provocata dalla legge attuale riguarda i minori: sia quelli nati in Italia da genitori stranieri sia quelli arrivati nel Paese da piccoli possono richiedere la cittadinanza entro un anno dal compimento dei 18 anni se hanno risieduto in Italia ininterrottamente e legalmente.
Secondo le ultime stime sono quasi un milione i figli di cittadini stranieri residenti in Italia in età scolare. Di questi, sette su dieci nati sul territorio nazionale. A loro si aggiunge una platea difficile da quantificare di maggiorenni nati in Italia ma censiti come stranieri e per questo penalizzati in numerosi aspetti dalla vita quotidiana, dal votare al partecipare a un concorso pubblico.
Il referendum aiuterebbe indirettamente anche una parte di coloro ancora minorenni: se conviventi con i genitori neo italiani, acquisirebbero automaticamente la cittadinanza.
Le storie degli italiani senza cittadinanza
All'evento del comitato promotore del referendum si sono susseguite sul palco le storie e gli appelli di decine di ragazzi e ragazze le cui vite si somigliano tutte almeno per una cosa: lottare o avere lottato per essere considerati italiani, non essere trattati da cittadini di serie B, essere riconosciuti come parte integrante della società.
"Io sono nato da genitori africani, che sono venuti qui negli anni Novanta. Nonostante ciò però io la cittadinanza non l'ho neanche avuta a diciott'anni", racconta a Euronews Maurizio Bousso, attore celebre per avere recitato come protagonista nel film di Checco Zalone Tolo Tolo.
"Tu tra il 18esimo e il 19esimo anno essendo nato in Italia da genitori stranieri hai questa finestra di un anno tra i 18 e i 19 per fare la richiesta. Però da lì ad ottenerla ce ne passa. Molto spesso ci sono degli intoppi dovuti anche alla mancanza di documenti banali, ma che è difficile andare a recuperare negli archivi del Paese di provenienza. Io alla fine la cittadinanza l'ho ottenuta a vent'anni, ma mi ritengo anche fortunato, perché ho molti amici che sono ancora in attesa", spiega.
Usiku, cantautrice e compositrice, si sente privilegiata, perché la madre le ha trasmesso la cittadinanza italiana. Il padre, nonostante sia in Italia da decenni, non è ancora riuscito a ottenere lo status di italiano.
Anche Amin Abu Islaih, digital strategist di ColorY, una realtà online che si occupa di comunicazione per le seconde generazioni italiane, racconta che lui è stato fortunato, perché suo padre, palestinese, ha ottenuto la cittadinanza italiana prima che lui nascesse.
"Mi ha garantito dei privilegi che tante altre persone non hanno. Come appunto avere la patente da subito, avere documenti d'identità, un passaporto, avere la cittadinanza e poter andare a votare al compimento dei 18 anni. La mia storia è analoga a quella di tante altre persone con cui lavoro con cui sono amico, che conosco, che attualmente questo privilegio non ce l'hanno. E io non ho fatto niente per meritarmelo", dice.
Ma c'è anche chi è arrivato in Italia da piccolo e vorrebbe essere considerato italiano. Come Remon Karam, che a 14 anni è fuggito dalla persecuzione religiosa in Egitto lasciandosi dietro tutta la sua famiglia ed è arrivato in Italia attraversando illegalmente il Mar Mediterraneo.
"Ora ho 26 anni e non avere la cittadinanza mi impedisce anche di tornare a casa mia senza rischiare la pelle. Non mi permette neanche di realizzare i miei sogni. Io sognavo di diventare ambasciatore o comunque di lavorare nella diplomazia, ma non posso farlo perché per partecipare ai concorsi pubblici mi manca il requisito che forse diamo più per scontato, la cittadinanza", racconta Karem.
Una cittadinanza, dice, che in realtà si sente sua. "Io mi sento cittadino italiano in tutto e per tutto".
Gli appelli al voto e all'astensionismo
Per essere valido il referendum deve raggiungere un quorum del 50 per cento più uno degli elettori. Per questo la campagna referendaria sta cercando di farsi sentire il più possibile e convincere a recarsi alle urne chi normalmente si astiene.
Al contrario, le forze politiche e sociali che si oppongono al referendum e voterebbero "no" - principalmente i partiti di governo - hanno invitato gli elettori a non andare a votare e piuttosto "andare al mare", così da scongiurare ogni rischio che il quorum possa essere raggiunto.
Gli inviti all'astensionismo hanno generato non poche polemiche quando sono arrivati da alcune delle più alte cariche dello Stato.
Il presidente del Senato Ignazio La Russa, di Fratelli d'Italia, ha detto di voler fare "propaganda affinché la gente se ne stia a casa", mentre a margine delle celebrazioni della Festa della Repubblica la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha dichiarato che andrà fisicamente alle urne ma non ritirerà le schede, un opzione che equivale appunto all'astensione.
Gli ultimi sondaggi non sono molti ottimisti e prevedono un'affluenza tra il 35 e il 40 per cento, insufficiente.