Alla fine del XIX secolo i suprematisti bianchi negli Stati Uniti iniziarono a indossare un costume molto simile a quello dei nazareni. Ne analizziamo le ragioni con lo storico e divulgatore David Botello
"È il Ku Klux Klan!" dicono alcuni turisti che non conoscono o non hanno familiarità con la Settimana Santa spagnola: un'esclamazione che nasce spontanea alla vista dei penitenti che accompagnano le processioni per le strade.
Il confratello maggiore dell'Arciconfraternita di Jesús de Medinaceli a Madrid, Miguel Ángel Izquierdo, spiega a Euronews che si tratta di un commento comune ogni anno: "Bisogna spiegare loro che non ha nulla a che fare con il Ku Klux Klan".
Tuttavia, sebbene il movimento suprematista abbia adottato un costume simile a quello dei nazareni, il caporote è precedente persino alla fondazione degli Stati Uniti. In Spagna, i primi cappelli a punta apparvero nel XVI secolo con l'Inquisizione.
Quando i monarchi cattolici istituirono il Santo Tribunale, in Castiglia iniziò un'epoca di ortodossia cattolica che puniva reati che andavano dalla blasfemia all'eresia. "Durante gli autodafé, l'Inquisizione imponeva agli eretici e ai condannati il sambenito, un abito speciale, simile a un poncho, che era una forma di umiliazione, una punizione visiva per generare il disprezzo pubblico. In alcuni casi, soprattutto per condanne gravi, veniva sormontato da un caporote appuntito", ha dichiarato a Euronews lo storico David Botello.
L'origine del caporote
Pertanto, "l'origine del caporote può essere fatta risalire a due fonti: la spiritualità medievale e l'Inquisizione, perché i penitenti si coprivano per umiltà, in modo da non essere riconosciuti", aggiunge Botello, che è l'autore di "No me toques los Borbones", tra i tanti libri in cui approfondisce la storia della Spagna.
Alcuni erano condannati a morte e si presentavano con questi abiti per l'esecuzione, che poteva avvenire per annegamento se si pentivano dei loro peccati, oppure bruciati vivi in una piazza pubblica. Poiché si trattava di persone che stavano scontando una pena capitale, venivano chiamati penitenti.
Dipinti come "Autodafé dellInquisizione" di Francisco de Goya, realizzato tra il 1812 e il 1819, illustrano questo tipo di abbigliamento. La domanda è come le diverse confraternite abbiano adottato lo stesso simbolismo nelle loro processioni. "Le confraternite presero questo abbigliamento e lo ridefinirono: ciò che era un'umiliazione, lo trasformarono in una penitenza volontaria", dice Botello.
"Il caporote divenne un simbolo di elevazione spirituale: più alto era il caporote, più ci si avvicinava a Dio", spiega lo storico. In origine, nelle processioni i nazareni erano vestiti in modo più semplice, ma "nel corso dei secoli, le confraternite migliorarono il design: il cappuccio passò da essere un semplice cappuccio ad avere una struttura e vennero incorporati colori o insegne". David Botello ci assicura che, nonostante questi cambiamenti, "l'essenza dell'abito rimane la stessa: anonimato, raccoglimento e penitenza".
Perché il Ku Klux Klan ha adottato il costume dei penitenti?
Qualunque sia la sua origine ed evoluzione, la somiglianza delle uniformi scelte dal Ku Klux Klan alla fine del XIX secolo è evidente. Ci sono diverse teorie al riguardo, "alcune puntano a un'ispirazione visiva indiretta, forse un membro del KKK ha visto un'illustrazione, una litografia o una scena della Settiana Santa in Spagna e ha pensato: 'questo si impone'", dice Botello.
Questa possibilità coincide con un ritaglio della rivista "Opportunity", pubblicata a New York nel 1927, che dice: "Basta uno sguardo per vedere la somiglianza con le vesti e i cappucci bianchi indossati dal Ku Klux Klan nel nostro Paese. A quanto pare, l'organizzazione americana ha copiato l'abbigliamento di quei credenti cristiani", si legge nel testo.
Tuttavia, Botello insiste sul fatto che non esiste una prova definitiva dell'origine dell'abbigliamento dei suprematisti. "Potrebbe anche trattarsi di una pura coincidenza: molte culture hanno usato cappucci per nascondere la propria identità, dai boia medievali ai membri di alcune sette", afferma.
Se si tratti o meno di appropriazione culturale sarebbe un altro dibattito, quello che David Botello ha ben chiaro è che si tratta di "una deformazione estetica con fini radicalmente opposti, poiché la Settimana Santa è una manifestazione vivente di fede, storia e tradizione che è stata reinventata nel corso dei secoli".