Fotografia: prima mostra antologica di Taryn Simon in Francia

Fotografia: prima mostra antologica di Taryn Simon in Francia
Di Andrea Neri
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Regola numero uno: dubitare di tutto, soprattutto delle immagini. Parola della fotografa statunitense Taryn Simon che al Jeu de Paume di Parigi

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Regola numero uno: dubitare di tutto, soprattutto delle immagini. Parola della fotografa statunitense Taryn Simon che al Jeu de Paume di Parigi presenta la prima mostra antologica mai organizzata in Francia sul suo lavoro.

Dai tempi di ‘The Innocents’ fino alle ultime richerche sul concetto stesso di archivio realizzate con ‘Image Atlas’,l’artista newyorkese con origini bielorusse conduce da anni un’indagine sul rapporto tra le immagini, il testo, il potere e il controllo, proponendo una riflessione su come la mente umana sviluppa le proprie convinzioni, le proprie credenze, i dogmi individuali e collettivi.

Tra i lavori esposti a Parigi anche le foto di ‘An American Index of the Hidden and Unfamiliar’. Negli anni post 11 Settembre, Simon ha esplorato i luoghi più inaccessibili degli Stati Uniti svelando il rapporto critico tra conoscenza e democrazia.

Taryn Simon: “Uso la fotografia e il testo per mettere in evidenza lo spazio in continua mutazione, manipolabile, nel quale si forma la conoscenza. In questo modo creo due poli: uno fotografico, l’altro testuale. Il pubblico si sposta dall’uno all’altro ed elabora nuovi giudizi, interpretazioni ed ipotesi sul racconto, sul tema di quel che sta osservando”.

Autentico lavoro da antropologa, storiografa, ricercatrice e, ovviamente, fotografa, quello svolto per il libro ‘A Living Man Declared Dead and Other Chapters’. In cinque anni di sopralluoghi in giro per il mondo, Simon ha seguito le relazioni create dai legami di sangue e messo in evidenza il peso della tradizione, della religione, dei pregiudizi.

Taryn Simon: “In questa serie ho documentato la genealogia di una famiglia interrotta dal genocidio in Bosnia, nel massacro di Srebrenica. Per esempio lui è suo padre, lei ha avuto quattro figli e tutti e quattro sono stati uccisi a Srebrenica. Questa è la seconda figlia con i rispettivi figli eccetera”.

Allo sguardo più distratto i progetti affrontati da Taryn Simon potrebbero apparire disparati, privi di un legame. Ma il filo rosso più evidente è l’ossessione per il concetto di archivio, concetto per altro indissolubilmente legato alla storia stessa della fotografia.

Taryn Simon: “L’archivio… Quel che più mi affascina di un archivio è che è un’immensa collezione di dati, informazioni, immagini, fatti. E la natura stessa di un archivio sta nell’impossibilità di fornire un sommario. In definitiva è proprio in questa massa di materiale e soprattutto negli spazi tra un elemento e l’altro che c‘è la creazione di un significato”.

Con la sua prima serie Simon aveva ritratto i volti di persone innocenti condannate a morte o all’ergastolo sulla base di erronei riconoscimenti fotografici, poi rilasciate grazie alla prova del Dna. Da allora la sua riflessione non ha fatto che seguire l’incerto, vertiginoso limite che costituisce la nostra visione. La mostra a Parigi è visitabile fino al 17 maggio.

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