Gli Stati Uniti spingono per un comitato consultivo sulla legge europea sui mercati digitali (Dma) nell’ambito dei negoziati commerciali con l’Ue. Ma Bruxelles chiude la porta: “Difenderemo la nostra sovranità digitale”
Gli Stati Uniti stanno cercando di inserire nei negoziati per un futuro accordo commerciale con l’Unione europea una proposta controversa: la creazione di un nuovo organo consultivo per il Digital markets act (Dma), la legge europea che regolamenta le piattaforme tecnologiche dominanti. Secondo tre fonti a conoscenza della questione, l’obiettivo di Washington sarebbe dare voce alle aziende soggette all’applicazione della normativa, in particolare le Big tech statunitensi.
Tuttavia, almeno due delle fonti sentite ritengono che la proposta sia destinata a fallire. “L’Ue non accetterà mai l’idea”, ha dichiarato una fonte a Euronews. Il motivo è chiaro: Bruxelles considera la sua regolamentazione digitale un pilastro di sovranità economica e politica, non negoziabile in cambio di concessioni commerciali.
Il contesto è reso ancora più teso dalla recente dichiarazione di Donald Trump, che ha annunciato via Truth Social l’introduzione di dazi del 30 per cento su prodotti provenienti dall’Ue e dal Messico a partire dal 1° agosto. Una mossa che rischia di innescare un’escalation tra i due principali attori commerciali dell’Occidente.
Ue, apertura al dialogo, ma nessun passo indietro sulle regole
La presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, ha risposto con un appello alla stabilità e alla cooperazione transatlantica. “L’Ue resta impegnata per un dialogo costruttivo con gli Stati Uniti”, ha affermato. Ma la disponibilità al confronto ha un limite ben preciso: l’autonomia regolatoria del blocco.
Domenica, von der Leyen ha ribadito che l’obiettivo è una soluzione negoziata, ma ha anche chiarito che l’Ue è pronta a rispondere con contromisure, se necessario. A farne le spese, ancora una volta, potrebbero essere proprio le aziende tecnologiche, già nel mirino della Dma e del suo gemello normativo, il Digital services act (Dsa).
Entrambe le normative sono percepite da Washington come barriere non tariffarie che colpiscono in modo sproporzionato le società statunitensi. Peter Navarro, ex consigliere di Trump, ha accusato Bruxelles di “fare guerra” alle Big tech americane. Ma da Bruxelles la risposta è netta: nessuna eccezione sarà concessa.
La proposta statunitense: un comitato che l’Ue rifiuta
La proposta americana di istituire un comitato consultivo con la partecipazione delle stesse aziende sottoposte alla normativa — come Apple, Google, Meta o Amazon — contrasta con la filosofia del Dma. L’attuale comitato esistente è composto da esperti indipendenti e autorità nazionali, e ha un ruolo tecnico e strategico, non politico o industriale.
Una fonte ha dichiarato: “Il fatto che gli Stati Uniti abbiano proposto di istituire un comitato consultivo per la Dma, in cui siederebbero coloro che potrebbero essere interessati, di certo non accadrà”. La Commissione europea ha più volte sottolineato che le indagini sulla conformità sono guidate dal regolamento, non dall’origine geografica dell’azienda.
Tuttavia, il fatto che la maggior parte delle imprese soggette al Dma sia statunitense amplifica la tensione transatlantica, trasformando ogni provvedimento in un potenziale caso diplomatico.
Una strategia di applicazione più morbida per evitare lo scontro?
Secondo alcuni esperti, tra cui il consulente tecnologico Christophe Carugati, Bruxelles potrebbe adottare una strategia più “dialogica” nell’applicazione della Dma per disinnescare le tensioni con Washington. “Le indagini potrebbero essere messe in pausa, formalmente o informalmente, attraverso il dialogo”, ha spiegato.
Finora, le multe emesse per violazioni del Dma sono state modeste. Apple è stata sanzionata con 500 milioni di euro per aver ostacolato la promozione di offerte alternative da parte degli sviluppatori, mentre Meta ha ricevuto una multa da 200 milioni per il suo controverso modello pubblicitario “Pay or Consent”.
Bruxelles ha spiegato che le sanzioni relativamente basse sono dovute alla recente entrata in vigore della normativa (2023), ma anche a un orientamento volto alla conformità piuttosto che alla punizione.
La semplificazione normativa: un’occasione per le Big tech?
Un’altra via che le Big tech statunitensi stanno cercando di percorrere è quella del programma di semplificazione normativa avviato dalla Commissione. A maggio, colossi come Google, Microsoft, IBM, Amazon, Meta e OpenAI hanno chiesto che il futuro Codice di condotta sull’intelligenza artificiale a scopo generale (Gpai) sia “il più semplice possibile”.
La commissaria europea per le tecnologie, Henna Virkkunen, sta conducendo una verifica di idoneità delle normative digitali esistenti, che sfocerà a dicembre in un pacchetto “omnibus” di semplificazioni. L’obiettivo è alleggerire gli oneri amministrativi, soprattutto per le Pmi, ma resta da vedere se queste misure interesseranno anche il Dma, il Dsa o l’AI act.
Virkkunen ha comunque difeso la filosofia alla base del corpus normativo europeo: “Le nostre regole sono eque, perché sono le stesse per tutte le aziende che operano nell’Ue, europee, americane o cinesi”.
La linea rossa europea: la sovranità digitale non si negozia
L’Ue continua a tracciare una linea invalicabile: la sovranità digitale non è in vendita, nemmeno per salvare i rapporti commerciali con gli Stati Uniti. Lo ha ribadito anche Teresa Ribera, vicepresidente della Commissione, in un’intervista del 27 giugno: “Difenderemo la nostra sovranità. Non permetteremo a nessuno di dirci come attuare le nostre regole”.
Con una potenziale guerra commerciale alle porte, i prossimi mesi saranno cruciali per capire se le due sponde dell’Atlantico riusciranno a trovare un terreno comune — o se la frattura digitale si allargherà fino a travolgere anche la cooperazione economica. In gioco c’è non solo il futuro delle Big tech, ma l’equilibrio tra regole democratiche e interessi globali.