Lunedì il consigliere regionale lombardo Luca Paladini ha ricevuto una multa di duecento euro per aver mostrato la bandiera palestinese durante una partita di basket. Sempre più spesso, in Italia e in Europa, le manifestazioni di solidarietà alla Palestina comportano accuse di antisemitismo
Nel clima teso che attraversa l’Europa dopo mesi di guerra in Medio Oriente, anche un gesto semplice come esporre una bandiera può trasformarsi in un caso politico. È quello che è successo a Luca Paladini, consigliere regionale della Lombardia, multato lunedì dalla Questura di Milano per aver esposto una bandiera palestinese il 20 novembre scorso, durante la partita di basket tra Olimpia Milano e Hapoel Tel Aviv al Forum di Assago.
Duecento euro di multa "per avere esposto", all'ingresso della squadra israeliana in campo, "per dieci secondi la bandiera della Palestina in modo pacifico, silenzioso e non violento che, secondo loro, violerebbe qualche regola interna al Palasport", ha dichiarato Paladini, contestando la motivazione dietro la sanzione "che non regge perché non ho fatto nulla né di violento, né di minaccioso", ha affermato il consigliere in un'intervista su Fanpage.it.
Appena dopo il gesto, un agente della Digos si è avvicinato a Paladini per identificarlo e per chiedergli di evitare di mostrare la bandiera. Anche altre persone hanno esposto striscioni e bandiere a sostegno della Palestina nella stessa occasione e alcuni di loro hanno raccontato al consigliere di essere stati multati.
I casi precedenti in Italia e in Europa: le accuse di antisemitismo per aver mostrato sostegno alla Palestina
Per il consigliere, che ha annunciato il ricorso contro la decisione, si tratta di una forma di censura gravissima. "Non è per i 200 euro che dovrei pagare, ma per affermare un principio di democrazia e di libertà di espressione che in questo Paese sembra venga negato", ha spiegato Paladini su Fanpage.
La storia recente mostra quanto sia sottile il confine tra un simbolo e l’interpretazione che ne dà il pubblico. Questa sovrapposizione tra critica politica e ostilità identitaria non nasce oggi, ma negli ultimi mesi è diventata il terreno principale di una battaglia simbolica. La bandiera palestinese, che per molti rappresenta un appello alla tutela dei civili e alla fine della violenza da parte dell'esercito israeliano, viene percepita da altri come il vessillo di una narrativa che negherebbe il diritto all’esistenza di Israele.
Quello del consigliere lombardo non è un caso isolato e non è la prima volta che qualcuno viene accusato di antisemitismo per aver mostrato apertamente il suo sostegno alla Palestina. È sempre più frequente associare al simbolo - erroneamente - non un appello alla pace, ma una presa di posizione contro un intero popolo.
A settembre al sindaco di Scandiano Matteo Nasciuti sono state rivolte le stesse accuse per aver esposto la bandiera palestinese fuori dal suo ufficio. Un'iniziativa presa, tra l'altro, a termine di un percorso in Consiglio comunale che ha portato a riconoscere l'urgenza di sensibilizzare i cittadini sulla situazione a Gaza.
Scontro tra Prefettura e sindaci nel reggiano per la bandiera palestinese
Nasciuti ha respinto le accuse di antisemitismo, sottolineando di non avere nulla contro la popolazione israeliana. Una dinamica simile si è vista anche in altri comuni del reggiano, dove l’iniziativa di esporre la bandiera palestinese sui municipi ha generato uno scontro con la Prefettura, che ne ha richiesto la rimozione.
A fine settembre la prefettura di Reggio Emilia ha ordinato ai comuni di Reggio Emilia, Scandiano, Cavriago e Bagnolo di rimuovere le bandiere esposte perché violavano "il principio di neutralità e imparzialità" delle istituzioni pubbliche, ma i sindaci si sono opposti alla rimozione, richiamando la sentenza del 1987 della Corte costituzionale.
"Le bandiere non sono più emblemi esclusivi di sovranità, ma espressione di valori universali e strumenti di identità collettiva”. "L’esposizione della bandiera palestinese non ha natura diplomatica o istituzionale, ma rappresenta l’adesione della comunità a un messaggio universale di pace tra i popoli", avevano risposto i sindaci.
In Europa la sensibilità attorno all’antisemitismo, una sensibilità nata dal trauma e dal dovere della memoria, porta spesso a leggere ogni critica a Israele come potenziale minaccia alla comunità ebraica. In un mondo ideale, la distinzione sarebbe chiara: criticare un governo non significa attaccare un popolo.
La repressione delle manifestazioni di solidarietà per la Palestina in Europa
Questa sovrapposizione tra critica politica e offensiva identitaria non riguarda solo l’Italia. A Berlino, negli ultimi mesi, l’inasprimento delle misure di ordine pubblico ha portato a scene che hanno fatto il giro del mondo: manifestanti bloccati, manganellati, arrestati per aver sventolato una bandiera palestinese**. In un caso, riportato da associazioni locali, a essere fermato sarebbe stato persino un bambino.**
Anche nel Regno Unito, dopo la decisione del governo di bandire l’organizzazione Palestine action, la polizia ha effettuato centinaia di arresti durante le manifestazioni di protesta, sostenendo che persino l’esibizione di simboli riconducibili all’associazione potesse costituire un reato. Una decisione criticata dall’alto commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani e dal Consiglio d’Europa.
Per molti attivisti, questa scelta istituzionale ha equiparato in modo improprio l’espressione politica alla promozione dell’odio, alimentando un clima in cui ogni sostegno alla Palestina rischia di essere automaticamente interpretato come antisemitismo.
Il 26 novembre l'alta Corte di giustizia di Londra ha iniziato a esaminare il ricorso sulla decisione del governo britannico in merito al bando di Palestine action.