L'uscita di scena di United Torah Judaism lascia a Netanyahu una maggioranza risicata in una coalizione di governo dominata da due partiti di estrema destra
In un momento cruciale della guerra a Gaza, la stabilità politica del governo israeliano vacilla. Lunedì, United Torah Judaism, uno dei partner chiave della coalizione di governo guidata da Benjamin Netanyahu, ha annunciato l’intenzione di ritirare i suoi sette parlamentari.
La decisione nasce dalla crescente tensione interna sulla controversa questione delle esenzioni dal servizio militare per gli ebrei ultraortodossi, una misura sempre più divisiva nel paese.
Il partito ultraortodosso, attraverso la sua fazione Degel HaTorah, ha motivato l’uscita affermando che il governo ha "ripetutamente violato i suoi impegni" nel garantire la tutela degli studenti delle yeshivot, le scuole religiose dove migliaia di giovani dedicano la propria vita allo studio dei testi sacri ebraici, invece di servire nell’esercito.
La spaccatura su un tema che divide Israele
La questione delle esenzioni militari per gli ultraortodossi è da anni un nodo irrisolto nel dibattito politico e sociale israeliano. Un accordo storico aveva permesso a decine di migliaia di giovani religiosi di evitare l’arruolamento obbligatorio, ma la guerra in corso a Gaza – entrata nel suo ventunesimo mese – ha accentuato il bisogno di nuove leve nell’esercito, rendendo il tema ancora più sensibile.
L’Alta Corte di Giustizia israeliana ha recentemente stabilito l’obbligo, per l’esercito, di cominciare ad arruolare anche gli ultraortodossi. Tuttavia, i tentativi di implementazione sono finora falliti e l’attuale proposta di legge non soddisfa le richieste di United Torah Judaism, che chiede una codificazione chiara e definitiva delle esenzioni.
Maggioranza in bilico e rischio domino
Sebbene il ritiro del partito non produca effetti immediati, Netanyahu resta ora con una maggioranza ridotta a un solo seggio nella Knesset. Questo rende il governo particolarmente vulnerabile a nuove defezioni. Tutti gli occhi sono puntati sul secondo partito ultraortodosso, Shas, che con i suoi 11 seggi potrebbe far definitivamente cadere l’esecutivo se decidesse di seguire l’esempio dei colleghi.
La fragilità del governo rafforza anche il peso dei due partiti di estrema destra della coalizione, già noti per la loro opposizione a qualsiasi concessione nei negoziati per il cessate il fuoco con Hamas. La loro posizione, spesso intransigente, rende ancora più complicata la gestione di un eventuale compromesso politico o militare.
Una finestra di 48 ore per ricucire lo strappo
Tecnicamente, l’uscita di United Torah Judaism non è ancora definitiva: occorreranno 48 ore prima che diventi ufficiale. Questo concede a Netanyahu un margine di manovra per tentare una mediazione in extremis. Ma secondo Shuki Friedman, vicepresidente dell’Istituto per la Politica del Popolo Ebraico, le divergenze tra la proposta governativa e le richieste del partito ultraortodosso restano profonde, e un accordo lampo appare difficile.
Nonostante ciò, esponenti del partito di governo mantengono un cauto ottimismo. Miki Zohar, ministro del Likud, ha dichiarato: "Se Dio vuole, tutto andrà bene", lasciando intendere che i contatti sono ancora in corso.
Guerra e diplomazia: tregua ancora lontana
La crisi politica interna si inserisce in un quadro già teso. Israele e Hamas stanno portando avanti colloqui indiretti per una tregua, con la mediazione dell’Egitto e del Qatar e il forte pressing degli Stati Uniti. Ma al momento non si intravedono svolte concrete. La fragilità del governo Netanyahu, aggravata dalle divisioni interne, potrebbe ostacolare ulteriormente il processo negoziale e complicare le scelte strategiche sul campo di battaglia.
In un momento in cui Israele ha bisogno di coesione e stabilità per affrontare una delle crisi più gravi della sua storia recente, la minaccia alla tenuta della coalizione rischia di aprire un nuovo fronte, questa volta politico.