Giovedì all'Onu, Kharim Khan ha chiesto alle autorità libiche di consegnare il generale ricercato dalla Corte Penale Internazionale per crimini di guerra e contro l'umanità. A gennaio, al-Masri è stato arrestato a Torino e rilasciato: una vicenda per cui Meloni e due ministri sono stati indagati
Il procuratore capo della Corte penale internazionale (Cpi), Karim Khan, ha chiesto alla Libia di arrestare e consegnare Njeem Osama al-Masri,** il generale libico su cui pende un mandato di arresto che l'Italia ha ignorato lo scorso gennaio dopo il fermo dell'uomo a Torino.
Parlando giovedì al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, Khan ha ricordato la responsabilità italiane nel rilascio del libico, poi rimpatriato su un volo di Stato.
"Abbiamo emesso un mandato di arresto per lui ma è fuggito ed è tornato in Libia passando per l’Italia", ha detto il procuratore in collegamento da L'Aia, chiedendo che al-Masri "possa essere processato per i crimini che presumibilmente ha commesso".
La Libia ha riconosciuto la giurisdizione della Corte Penale Internazionale
Il caso è riemerso perché la Libia, pur non avendo firmato il Trattato di Roma che l'ha istituita, ha riconosciuto lo scorso 12 maggio - fino al 2027 - la giurisdizione della Corte su eventuali crimini commessi nel Paese a partire dal 2011, ha reso noto la Cpi in un comunicato.
La dichiarazione libica obbliga ora il governo a collaborare con la Cpi e ad agire contro al-Masri, come avrebbe dovuto fare l'Italia a gennaio, quando invece le autorità lo espulsero considerando il generale un "pericolo per la sicurezza nazionale".
Al-Masri, a capo della polizia giudiziaria che supervisiona i centri di detenzione di Tripoli, è accusato di crimini di guerra e contro l'umanità, legati a casi di "trattamento crudele, tortura, stupro, violenza sessuale e omicidio, commessi nel carcere di Mitiga dal 15 febbraio 2015 in poi", si legge sul sito della Corte.
Proseguono le proteste a Tripoli, evacuati italiani e spagnoli
Un centinaio di cittadini italiani e 17 spagnoli bloccati dalle violenze degli ultimi giorni a Tripoli sono rientrati giovedì sera a Roma, con l'aiuto dell'ambasciata italiana nella capitale libica, mentre decine di manifestanti sono tornate a protestare nel centro della città.
I dimostranti sono legati alle milizie che, dalla morte di Muammar Gheddafi nel 2011, si spartiscono il potere a Tripoli, tra cui la Forza di deterrenza nota come Radaa, di cui fa parte al-Masri.
Già mercoledì una folla riunitasi sotto sua residenza aveva chiesto le dimissioni di Abdulhamid Dbeibeh, il capo del Governo di unità nazionale (Gun), accusato di volere rompere l'equilibrio di forze nella capitale.
Gli scontri tra diverse di queste sono stati scatenati dalla morte di un leader locale, Abdelghani al-Kikli, ucciso lunedì scorso da una formazione affiliata al Gun, che Dbeibeh ha definito "un passo necessario".
Le autorità locali hanno invitato venerdì i residenti di Tripoli alla cautela e incaricato reparti dell'esercito libico, considerati neutrali, a monitorare il cessate il fuoco imposto alle varie milizie.