Le forze israeliane hanno demolito gran parte del villaggio palestinese di Khalet Al-Dab, lasciando decine di persone senza casa. La comunità denuncia un'espansione degli avamposti dei coloni e l'impunità garantita dal governo israeliano
Lunedì mattina, bulldozer militari israeliani hanno demolito ampie aree del villaggio palestinese di Khalet Al-Dab, nell’area di Masafer Yatta, Cisgiordania occupata. La distruzione ha colpito duramente la comunità beduina locale: secondo Mohammed Rabia, capo del consiglio del villaggio, sono state abbattute nove abitazioni, cinque tende e altrettanti recinti per animali.
Israele: "Strutture illegali in zona militare"
Il Coordinatore delle attività governative nei Territori (Cogat) ha giustificato l’operazione affermando che le costruzioni sorgevano in un’area classificata come "zona di tiro militare". Le autorità israeliane ribadiscono che tali edifici erano privi di autorizzazione. I palestinesi, tuttavia, sostengono che ottenere permessi edilizi da Israele sia quasi impossibile, soprattutto nelle zone soggette a restrizioni militari.
Ali Dababsa, anziano pastore e abitante del villaggio, ha assistito impotente alla distruzione della sua casa. “Vogliamo morire sotto questa terra, questa terra è preziosa per noi e noi siamo i suoi proprietari”, ha dichiarato, circondato da altri residenti sgomenti.
Coloni e militari: l’espansione degli avamposti illegali
La zona colpita si trova a Masafer Yatta, una regione da tempo nel mirino dell’espansione coloniale israeliana.
Secondo il giornalista e regista Basel Adra, coautore del documentario “No Other Land”, negli ultimi mesi coloni estremisti hanno creato tre nuovi avamposti attorno alla comunità, sostenuti di fatto dall’inazione del governo israeliano. “Ora stanno cancellando questo villaggio per far posto a nuovi insediamenti”, ha denunciato.
La demolizione si inserisce in un contesto più ampio di repressione: le forze israeliane hanno annunciato piani per distruggere oltre 100 case in due campi profughi del nord della Cisgiordania. Le organizzazioni per i diritti umani temono una nuova ondata di sfollamenti forzati.