Dopo 15 anni, cosa c'è da festeggiare? Di per sè, l'indipendenza. Che non è soltanto una bella parola. Non festeggeranno, sicuramente, i kosovari che vivono nel nord del Paese, nei comuni a maggioranza serba che stanno al di là del fiume Ibar
17 febbraio 2008.
15 anni dopo la dichiarazione di indipendenza del Kosovo, i politici kosovari e gran parte dell'opinione pubblica del Paese non hanno dubbi sul fatto che essere "indipendenti" lo sia e lo sarà per sempre.
Ma questo è esattamente ciò che la Serbia sta cercando di contestare.
Il mondo è diviso sullo status ufficiale del Kosovo, che la Serbia continua a considerare una sua provincia, di cui però ha perso il controllo nel 1999, al termine di una guerra durata un'anno e mezzo.
⏩ Per saperne di più: la guerra del Kosovo (1998-1999)
Cosa c'è da festeggiare?
Dopo 15 anni, cosa c'è da festeggiare?
Di per sè, l'indipendenza. Che non è soltanto una bella parola.
Non festeggeranno, sicuramente, i kosovari che vivono nel nord del Paese, nei comuni a maggioranza serba che stanno al di là del fiume Ibar.
In realtà, una parte dei cittadini kosovari non è completamente convinta dei benefici dell'indipendenza.
"Per lo più le cose vanno male, penso che nulla di ciò che pensavamo si sarebbe avverato è diventato realtà e non sappiamo nemmeno esattamente cosa, come e quando avverrà", spiega una residente disillusa di Gračanica, parlando in serbo.
"Io, invece, posso dire che si vive abbastanza bene e ogni giorno è sempre meglio", ribatte in albanese un pensionato di Pristina.
"Democratico, sovrano e con l'economia più sviluppata della regione"
Per il primo ministro Albin Kurti, il Kosovo è "democratico e sovrano", con - come rassicura - "l'economia più sviluppata della regione balcanica".
I dati dell'Agenzia di statistica del Kosovo dicono, però, il contrario: la disoccupazione è quasi al 40% e professori, medici e dipendenti pubblici stanno protestando sempre più spesso per le strade della capitale Pristina.
Nexmedin Spahiu, professore della Facoltà di Scienze Politiche:
"Da quando la Serbia non è più il nostro Stato, noi siamo diventati responsabili delle nostre stesse vite. E le cose non vanno bene. Quindi, non mi sorprende che le persone siano molto deluse".
Sia nella comunità serba che in quella albanese prevale un senso di paura e frustrazione, principalmente per motivi di sicurezza.
L'analista politica Jovana Radosavljević:
"La tensione è visibile e palpabile e si riflette attraverso una narrativa populista molto insistente da parte delle istituzioni kosovare".
Il dialogo tra Serbia e Kosovo, iniziato tra mille difficoltà e mille ripicche (basti pensare alla vicenda delle targhe), è già in crisi, ma entrambe le parti hanno accettato il cosiddetto "Piano franco-tedesco", sostenuto dall'Unione europea, per la soluzione ai rapporti tesi tra i due Paesi.
Sarebbe, finalmente, la fine di questo "conflitto congelato", come lo ha definito il presidente serbo Aleksander Vučić.
Ma la strada appare ancora lunga e tortuosa.
Basti pensare che cinque Paesi dell'Ue ancora non hanno riconosciuto il Kosovo: Spagna, Grecia, Cipro, Slovacchia e Romania.