L'altra conseguenza della pandemia: "Ci sarà un boom di nuovi casi di cancro"

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Di Laura LlachLillo Montalto Monella
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"Nel momento in cui viene diagnosticato un tumore, il trattamento dovrebbe essere immediato. Qualsiasi cosa ritardi l'operazione fa progredire il cancro. Ci sono pazienti che non sanno cosa hanno veramente fino a quando non sono in sala operatoria e si deve rimuovere"

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Alla spagnola Lucia è stato diagnosticato un cancro alla tiroide appena un mese prima del suo 25° compleanno. Tutti i medici le avevano detto che quel nodulo era benigno, ma lei non ha mai pensato che lo fosse. L'ultimo controllo ha confermato le sue peggiori paure. La chiamata del suo medico è arrivata a fine di febbraio, prima che la Spagna venisse travolta dalla pandemia di Covid-19.

"Gli ho chiesto subito: ho il cancro? Quando mi ha risposto di sì, mi sono messa a piangere. Ero così spaventata, pensavo di morire", dice Lucia a Euronews

I pazienti positivi al coronavirus stavano cominciando a riempire gli ospedali spagnoli proprio mentre Lucia aspettava l'appuntamento con il chirurgo. Le avrebbe dovuto comunicare la data dell'operazione. 

"Eravamo tutti confinati e i medici hanno iniziato a chiamarci in famiglia, uno ad uno, cancellando gli appuntamenti in sospeso. Così ho pensato che sarei stata io la prossima". Ma così non è stato. 

Il 17 marzo, il dottore ha telefonato a Lucia per comunicarle che il giorno dopo sarebbe stata operata. Una notizia improvvisa, un fulmine a ciel sereno. 

"Non so cosa succederà in ospedale la prossima settimana, o quanto durerà, e dobbiamo rimuovere il nodulo. Se ti opero, ti opero domani, altrimenti ti metteranno in lista d'attesa e potresti entrare in sala operatoria a fino a settembre", le parole dello specialista. 

L'operazione si è svolta nel rispetto di rigorose misure di sicurezza ma la paura di Lucia è stata comunque grande, anche perché i malati di cancro sono un gruppo a rischio. "Ho incrociato le dita, sperando che non succedesse nulla".

La pandemia ha paralizzato le operazioni

Quando è stato dichiarato lo stato di allarme, Fermín Sánchez, chirurgo toracico dell'Ospedale Universitario di Lozano Blesa (Saragozza), ha spostato i suoi ultimi pazienti in settori "puliti", perché tutti gli altri erano traboccanti di pazienti Covid-19.

"Tutti noi medici ci dedichiamo esclusivamente a questi pazienti, sono una priorità assoluta. Le specialità chirurgiche erano paralizzate. Avevamo programmato operazioni che non potevano essere eseguite", spiega il chirurgo.

Delle oltre venti sale operatorie attive prima della pandemia, solo otto sono rimaste aperte. Un'intera ala è stata chiusa per usare quello spazio - e quei respiratori - nel caso in cui le unità di terapia intensiva non fossero riuscite a reggere la pressione. 

Secondo il medico dell'ospedale di Saragozza, questa "pausa" nella chirurgia oncologica sarà un vero problema per i pazienti. "Nel momento in cui viene diagnosticato un tumore, il trattamento dovrebbe essere immediato. Qualsiasi cosa ritardi l'operazione fa progredire il cancro. Ci sono pazienti che non sanno cosa hanno veramente fino a quando non sono in sala operatoria e si deve rimuovere [il tumore]"

Nel momento in cui viene diagnosticato un tumore, il trattamento dovrebbe essere immediato. Tutto ciò che ritarda l'operazione fa progredire il cancro
Fermin Sanchez
Chirurgo

A volte ricevevo chiamate da persone in lista d'attesa, preoccupate. "La diagnosi è molto difficile perché il cancro è sempre associato alla morte. Il semplice fatto di dover aspettare aggrava la difficile situazione psicologica", aggiunge.

Una volta iniziata quella che il chirurgo chiama "de-escalation", per le prime settimane sono stati operati solo un paio di pazienti a settimane.

Anche negli altri ospedali è andata così. Il figlio di Sanchez è anch'egli chirurgo ma a Madrid. Opera al momento due o tre pazienti a settimana, rispetto ai 13 che entravano in sala operatoria prima della pandemia. Ora, dice il medico, la situazione si è stabilizzata, e si sta raggiungendo una nuova normalità ospedaliera.

"La battuta d'arresto non ha colpito solo coloro che erano in attesa di un'operazione, ma ha anche rallentato le diagnosi precoci del cancro. La procedura diagnostica è stata ritardata, quindi sono sicuro che ora ci sarà un grande boom di nuovi casi di tumori e che accumuleremo di nuovo pazienti in lista d'attesa", dice il medico.

La testimonianza di Irene: "Ho scoperto il cancro con una Tac da fare entro tre giorni"

Irene Facci, una donna di 44 anni, ha scritto al Fatto Quotidiano che ha pubblicato la sua missiva il 26 maggio. Ha un cancro metastatico ed è soggetta a controlli di follow-up periodici, tra i quali una Tac ogni 3 mesi. Questa la sua testimonianza: "L’ho scoperto nel 2017: il medico di base, dopo un controllo ecografico dubbio, mi prescrisse una Tac da fare entro tre giorni. La prenotai con facilità e iniziai il mio percorso di malata oncologica. Sono passati quasi tre anni**. Oggi, forse, non diventerei una malata oncologica perché morirei prima di scoprire di avere il cancro, in attesa della Tac**. Ho prenotato la mia Tac di controllo più di tre mesi fa, presso una struttura privata convenzionata perché già all’epoca chiamando il Cup i tempi erano lunghissimi. Data prevista: 19 maggio. Il 18 maggio mi contattano dal centro per dirmi che “dobbiamo spostare la Tac a partire dall’11 giugno”. Praticamente un altro mese ancora". 

"Ora, mi sembra evidente che chi richiede una Tac addome, torace, encefalo e collo non lo sta facendo come check up annuale insieme a colesterolo e trigliceridi. Mi sembra altrettanto evidente che da una Tac di follow up oncologico dipendono le scelte terapeutiche, da definire in tempi stretti. Io sono in cura presso un centro di eccellenza – pubblico – a Milano. Contatto con fiducia il mio oncologo, spiegando l’accaduto e chiedendo, vista l’eccezionalità della situazione, di poter fare la Tac in tempi brevi presso di loro. La risposta mi lascia sconcertata: “Qui non è fattibile, le mando un’impegnativa urgente a 10 giorni, provi con quella”. Parliamo, voglio sottolinearlo, di una struttura che si occupa esclusivamente di pazienti oncologici. Allora ho chiamato il Cup, ma l’operatrice mi ha detto che in nessuna struttura gestita da Regione Lombardia c’era posto per una Tac. “E dopo i 10 giorni?” ho chiesto, timidamente. “Mai. Non c’è posto mai”.

"Faccio parte della categoria di persone che di norma, in queste situazioni, apre il portafogli e prenota privatamente. Ma lo sa quanto costerebbe una Tac così? Oltre 2.000 euro. Ogni tre mesi. Un po’ tantino, per una paziente che risulta totalmente esente in quanto portatrice di patologia cronica..."

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