Covid-19: la dottoressa ci mette il cuore e rischia la denuncia

Virus Outbreak Italy
Virus Outbreak Italy Diritti d'autore Claudio Furlan/LaPresse
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Di Cecilia Cacciotto
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Chiacchierata con l'infettivologa che vive ormai in reparto. Dopo 18 ore di lavoro consecutive ha deciso di fare due passi, ma ha dimenticato di portare con sé l'autocertificazione. E ha incontrato una pattuglia delle forze dell'ordine

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B.C. 45 anni, medico specializzato in malattie infettive, è originaria di Brescia, dove vive la madre che non vede da oltre un mese. Anche lei in questi giorni è in prima linea nel suo ospedale, a 300 chilometri di distanza da Brescia e due Regioni da attraversare. Una distanza di sicurezza esagerata tra lei e la madre, distanza che se da un lato le dà sollievo dall'altro la angoscia.

Come molti altri italiani anche BC è rimasta a metà strada in quest’Italia sospesa in un periodo ipotetico dell’impossibilità. Dell’incertezza. “Se non avessimo sottovalutato la situazione, oggi non saremmo qui”. È il mantra che ripetiamo da Nord a Sud. Da Est a Ovest. E non solo in Italia, ormai.

“Prima che arrivasse il decreto dell’8 marzo ho anche pensato di proporre a mia madre di venir qui. Se solo avessi pensato che avrebbe accettato…”

Altro periodo ipotetico del terzo tipo.

BC sa che lei è in prima linea e che non può occuparsi della madre, che è meglio che continui a mantenere la distanza di sicurezza.

Anche nel suo ospedale di provincia il reparto di malattie infettive ha visto raddoppiare il numero dei posti letto, anche lei per entrare nella cosiddetta zona ‘pulita’, ribattezzata percorso blu, si barda con tuta, guanti mascherina, calzari, per poi togliersi tutto una volta che raggiunge la cosiddetta zona ‘sporca’. La bardatura finisce nella spazzatura e può tornare a respirare a pieni polmoni. E bere dell’acqua.

“La situazione qui non è come in Lombardia, ma resta comunque una situazione d’emergenza”. Sperando che i numeri non aumentino.

Bravissima in italiano ai tempi della scuola, BC con la lingua oggi pasticcia, si ingarbuglia perché vorrebbe proiettarsi in un futuro immediato, da coniugare al presente. In cui quest’incubo è finito. In cui la conta dei morti è finita e per quelli che non ce l’hanno fatta, all'ombra dei cipressi ,è iniziato il lungo percorso di accettazione di chi fatica a capire di averla scampata bella.

Il quotidiano di un medico i prima linea

BC mi parla del virus e mi dice che in fondo la battaglia contro il coronavirus sarebbe poca roba se non fosse per le conseguenze, per quel processo infiammatorio che scatena: la polmonite interstiziale bilaterale, che fino all'altro giorno non avevo mai sentito nominare.

A provocare la morte non è il virus, ma il processo infiammatorio innescato dal corpo per combattere il virus che ci porta al punto di non respirare.

Paradossalmente i pazienti che raggiungono questo stadio non hanno bisogno di lei, ma di un’anestesista, per esempio, “di qualcuno in grado di intubarli”. E le ronde ripetute all'infinito in reparto servono a verificare che i ricoverati non arrivino a questo punto. Il confine tra vita e morte è sottile come lo spiffero d’aria che si fa strada tra gli infissi chiusi.

Comincio a capire quanto importante sia riuscire a trovare la terapia antivirale adeguata, e quanto importante sia lo sforzo di tutti gli ospedali del mondo nello sperimentare nuovi percorsi terapeutici.

Se la strategia sanitaria fosse sbagliata?

Se effettivamente il virus venisse reso innocuo nei primi giorni di infezione, il ricovero, l'intubamento e tutto quel che segue per il sistema sanitario potrebbe essere scongiurato? Quanti morti ci saremmo risparmiati?

E torna questo maledetto periodo ipotetico. Se stessimo sbagliando tutto?

Allora bisognerebbe fare tamponi a tappeto, isolare tutti i casi sospetti, seguirli da vicino e trattarli fin dai primi sintomi. “In Lombardia si sta facendo esattamente il contrario”, le dico.

Chiedono a chiunque abbia sintomi simil influenzali di isolarsi in casa e che diotelamandibuona sperando che non sia Covid-19 della peggior specie.

"L’emergenza rende tutto più difficile, gli errori si fanno in momenti normali figuriamoci sotto stress e di fronte a situazioni nuove".

La medicina non è una scienza esatta. Ha i suoi tempi e si procede per tentativi. Ma non ammette improvvisazioni, per arrivare a una terapia che consenta l’uso di un farmaco l’esito della sperimentazione deve essere certo.

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Me lo ribadisce BC perché mi intestardisco a sostenere che una terapia antivirale andata a buon fine con un paziente dovrebbe essere usata immediatamente con tutti i malati.

“Quando l’esito della ricerca sarà inequivocabile, avremo la cura”. È una donna forte BC e decide di calciare via le ipotesi di ogni tipo: "E' solo una questione di tempo, quando sarà avremo la cura".

L'infezione rallenterà con il caldo?

Penso già all’estate, al caldo, al periodo delle vacanze, sarà finita l’emergenza?

Lo vorrei, lo vorremmo e ci culliamo all’ombra dell’idea che il coronavirus venga reso inattivo da temperature elevate.

“Potrebbe, sappiamo comunque che sopravvive a 37 gradi che è la temperatura del nostro corpo”. Per cui dovremmo immaginarci temperature torride. È vero che molti ricercatori ipotizzano che l’infezione possa segnare il passo nei mesi estivi per poi tornare a correre in autunno seguendo l’andamento delle influenze stagionali.

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BC mi dice che l’unico virus che non c’è più è quello del vaiolo “forse esiste ancora in qualche laboratorio”, per gli altri dobbiamo tenerci sempre in allerta. “Così come il morbillo, di tanto in tanto si sente di nuovi focolai”.

Bisogna dunque attendere il vaccino e probabilmente con il tempo si arriverà anche alla cosiddetta immunità di gregge. Sì, quella che Boris Johnson voleva raggiungere in modo scellerato, senza calcolare il numero di vittime. Numero che non sarà insignificante anche oltremanica, stando alla matematica dei contagi.

Anche BC pensa all’estate e mi dice che quest’anno inizierà prima. Perché sarà estate il giorno che potrà riabbracciare la madre, e anche la zia, Andreina con i suoi 80 e passa anni e  con tutti i problemi di polmoni che ha, chiusa nel suo appartamento di una Brescia che non ne può più di contare i morti e di snocciolare i grani del rosario.

La denuncia delle forze dell'ordine

“Dopo aver fatto la notte, sabato sono uscita a prendere una boccata d’aria - mi dice ancora BC- Avevo fatto 18 ore di lavoro consecutive. Mi ha fermata la polizia e con me non avevo nessuna autocertificazione”.

È arrivata la denuncia.

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“Ho spiegato la situazione ma non mi sono opposta, mi conosci, avevano ragione”.

Sei troppo bresciana, le ho detto.

Se non fosse uscita, sì perché il periodo ipotetico dell’irrealtà si accanisce sempre sui più deboli e più giusti.

BC è tornata a casa, amareggiata "ma sì, di fronte a questa tragedia cosa sarà mai una denuncia".

BC ha pensato ai suoi pazienti, che avrebbe rivisto l’indomani, alla mamma che rivedrà all’inizio dell’estate.

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“Dai Cecilia, presto sarà estate”.

È passata mezz'ora quando il telefono ha squillato, mi ha detto BC.

“Qui è la Questura”.

“Mi dica, ho commesso qualche altra infrazione?”.

“Dottoressa, la chiamavo per dirle che abbiamo discusso del suo caso e che abbiamo deciso di stracciare la denuncia”.

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Se non fossi uscita... periodo ipotetico della possibilità.

Grazie a BC e a tutti i medici che in queste ore stanno dando il 100% per noi.

Presto sarà nuovamente estate.

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