Libia: attacco contro campo di detenzione per profughi a Tripoli

Libia: attacco contro campo di detenzione per profughi a Tripoli
Di Paola Cavadi
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La storia di Munir e della sua famiglia, sfollati e senza un tetto, non sanno cosa sarà di loro. Il racconto della nostra corrispondente Anelise Borges

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Quando la guerra si avvicina, scappi, a meno che non ti sia impedito. Queste immagini, forti, la cui crudezza potrebbe lasciare impressionati, mostrano migranti e rifugiati di un centro di detenzione vicino Tripoli durante l'attacco della milizia del generale Khalifa Haftar, che conduce ormai da 6 settimane un'offensiva sulla capitale Tripoli.

Munir e suo figlio Murad di 7 anni ci raccontano tutto: "Alcune persone armate sono arrivate e ci hanno preso soldi e cellulari. Eravamo divisi in tre gruppi. In una prima stanza ci hanno preso i telefoni, poi sono entrati in una seconda stanza, dove un gruppo di cristiani stava pregando insieme al sacerdote, hanno ordinato loro di smettere ma si sono rifiutati e allora hanno cominciato a sparare. 18 o 20 persone sono state ferite dalle pallottole. Le persone hanno iniziato a urlare, e allora loro , ancora una volta, hanno ricominciato a sparare all'impazzata".

Si pensa che almeno 7 persone siano state uccise nell'attacco. Dozzine i feriti. In Libia si stima ci siano oltre 20 altri centri di detenzione come questo dove i migranti e i rifugiati arrestati mentre cercano di scappare dal paese e introdursi illegalmente in Europa sono rinchiusi in attesa di sapere se saranno rimpatriati o deportati altrove. Almeno 5 di questi campi si trovano nei pressi di Tripoli e sin dal 4 di aprile sono stati ripetutamente esposti al rishcio di rivolte interne e scontri violenti. Euronews ha chiesto alle autorità libiche di avere accesso a uno di questi centri per vedere con i nostri occhi le condizioni in cui questi uomini queste donne e questi bambini vivono...

Le organizzazioni umanitarie descrivono una situazione terribile: “I centri di detenzione non sono stati costruiti per ospitare persone - ci spiega Sam Turner , capo missione di Medici senza Frontiere - Spesso sono ex magazzini utilizzati oggi per stoccare persone invece di merci. ualche volta chiamiamo le celle hangar, perchè sono enormi e lunghissime stanze dove vengono impacchettate e rinchiuse centinaia di persone. Le persone domrono sul pavimento su dei sottilissimi materassini e con quasi nessuna possibilità di avere contatti con l'esterno".

Dopo essere sopravvissuti all'attacco Munir e la sua famiglia sono scappati dal centro e hanno trovato rifugio in questa scuola diventata un riparo per persone in difficoltà nel centro di Tripoli. Ma non hanno idea di quello che gli succederà adesso.

"Non posso scegliere il Paese dove andare - continua a raccontarci Munir - Andrei in qualsiasi paese mi accogliesse. Un posto sicuro dove i miei figli possano ricevere un instruzione. Il mio unico desiderio è di raggiungere un paese sicuro, dove io possa parlare liberamente ed esprimermi liberamente. Se proprio dovessi scegliere, andrei negli Stati Uniti, in Canada o in Inghilterra. Se fosse per me andrei in Canada".

Per ora il Canada è solo un sogno lontano. Se e quando finirà la battaglia di Tripoli e le scuole riapriranno Munir e la sua famiglia saranno probabilmente trasferiti in qualche altro centro di detenzione.

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