La ex presidente della Comunité ebraica di Roma, figlia di deportati, a Euronews: "la recrudescenza dell'odio minaccia chiunque sia percepito come diverso. Se Hitler avesse avuto i social network, olocausto sarebbe durato 3 giorni"
"Non ti racconto tutto perché voglio tenermi per pudore il brutto che ho visto". Così, con le parole di Sami Modiano, uno degli ultimi sopravvissuti italiani all'Olocausto, la ex presidente della Comunità ebraica di Roma, Elvira di Cave descrive l'insondabilità dell'orrore che i testimoni della Shoa custodiscono nel fondo dell'anima.
Figlia a sua volta di deportati - il padre fu praticamente l'unico a salvarsi nella sua famiglia - Di Cave è conosciuta come "il medico dei sopravvissuti". E oggi, mentre gli atti di antisemitismo vanno moltiplicandosi, sottolinea come la recrudescenza dell'odio non debba rappresentare un allarme per i soli Ebrei, ma per chiunque sia percepito come diverso, difforme.
"Io non ho la sindrome della vittima - dice - tutt'altro. Dentro ho una grande rabbia, che mi viene dal dolore. Io vorrei che tutto questo non ci fosse per il diverso: perché è diverso chi è omosessuale, è diverso chi ha la pelle più scura e lo è chi ha una religione differente. E io credo che anche le questioni economiche siano alla base di questa vita che non è vita in realtà".
Secondo Di Cave, i social network rappresentano il nodo più spinoso nel riemergere dell'intolleranza come fenomeno di massa: "noi non possiamo certo pretendere di controllare i profili Facebook o Instagram di ogni cittadino" spiega. "Ma dobbiamo prendere atto che, se da una parte questi strumenti ci portano nel futuro, dall'altra, con la stessa velocità e viralità, propagano in maniera incredibile l'odio più cieco. Provate solo a immaginare se Hitler avesse avuto un profilo facebook" conclude. "Non ci sarebbero stati 7 mesi o un anno di campi di sterminio: sarebbero durati 3 giorni; e una questione come la Conferenza di Wannsee del '42 sarebbe stata risolta in 5 minuti"