Autostrade: "Le concessionarie private non sono il problema"

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Diritti d'autore Foto: Archivi REUTERS/Stefano Rellandini
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Di Luca Santocchia
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Secondo Veronica Vecchi, professore associato alla Bocconi, quello italiano è un caso di "disastro normativo causato da scarsa competenza. Il governo dovrebbe assicurare efficienza nella gestione e negli investimenti, con il minor impatto possibile sulle tasche degli utenti"

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Nelle ultime settimane si è parlato molto degli utili astronomici realizzati da Austostrade per l'Italia, società che gestisce quasi 3mila chilometri di tratte autostradali, tra cui la A10 su cui si trovava il ponte Morandi, crollato lo scorso 14 agosto.

Un dibattito che si è infiammato dopo la pubblicazione dei dettagli finanziari delle concessioni, avvenuta qualche giorno dopo il disastro, e che ha spinto il vicepremier Luigi Di Maio ad affermare che la gestione delle autostrade sarebbe dovuta tornare allo Stato.

Il caso di Autostrada Brennero

Negli ultimi anni a realizzare utili da capogiro non sono state però solo le concessionarie private ma, almeno in un caso, anche quelle pubbliche. "Tra il 2007 e il 2016 la Società Autostrada del Brennero ha distribuito dividendi per 260 milioni di euro, circa 100 milioni in più rispetto a quanto la società stessa aveva preventivato - ha detto a Euronews Veronica Vecchi, professore associato alla Bocconi -. Il tasso interno di rendimento è stato superiore al 20%. In questo caso va sottolineato che ad incassare i dividendi è un ente pubblico e non dei privati. Più dell'80% delle quote azionarie di Autostrada del Brennero è infatti in mano a vari enti pubblici: la quota maggiore - il 32% circa - è quella della Regione Autonoma Trentino Alto Adige".

Un altro luogo comune nel dibattito pubblico/privato è che il costo del capitale sia più alto per gli investitori privati che per gli investitori pubblici. Una tesi su cui si fonda la convinzione diffusa secondo cui sarebbe preferibile affidare la gestione e lo sviluppo delle infrastrutture ad enti pubblici. "L'analisi delle concessioni autostradali italiane - dice Vecchi - smentisce però questa tesi: in questo caso il costo del capitale è abbastanza allineato tra concessionari pubblici e privati".

"In generale - sottolinea Vecchi - un governo non dovrebbe concentrarsi sul modello gestionale (società pubblica o sistema di concessionari pubblici/privati selezionati con gare trasparenti e competitive) ma dovrebbe assicurare efficienza nella gestione e negli investimenti, con il minor impatto possibile sulle tasche degli utenti".

Tariffe aumentate del 42% in dieci anni

Secondo l'Aiscat, l'associazione dei concessionari, negli ultimi dieci anni le tariffe sono aumentate del 42% a fronte di una riduzione del traffico del 3% nello stesso periodo. "Indipendentemente dal volume dei dividendi, il regolatore ha approvato dei piani con dati che mostravano, già ex ante, un rendimento eccessivo".

Italia, un "disastro normativo"

"Perché - continua Vecchi - far pagare di più l’utilizzatore dell’autostrada quando questo si trasforma in maggiori dividendi per il privato o in maggiori entrate per un azionista pubblico che non necessariamente sono reinvestite a favore della categoria che ha pagato i pedaggi, specie se l’azionista è pubblico? Si potrebbe, per esempio, pensare a regimi tariffari diversificati per i residenti della regione che esprime il socio pubblico (come accade in Valle d'Aosta).

"Il caso italiano - conclude Vecchi - mette in evidenza quello che in letteratura si chiama 'regulatory disaster' causato prevalentemente da una carenza di competenze. Tuttavia va detto che le autostrade italiane hanno avuto rendimenti molto alti sin dagli anni cinquanta".

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