Turchia, lo "schiaffo ottomano" che Erdogan minaccia di dare agli Usa

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Di Antonio Michele Storto
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Secondo il segretario di stato Tillerson - che alla Turchia rimprovera di ostacolare le operazioni di contrasto all'Isis - Washington cercherà con Ankara un dialogo che si prospetta, però, per nulla facile

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Nel giro di incontri che sta portando il segretario di stato americano Rex Tillerson a discutere di sicurezza, e contrasto al terrorismo con alcuni dei suoi omologhi mediorientali, è arrivato il momento di trattare lo spinoso capitolo dei rapporti con Ankara.

L'occasione è la visita in Kuwait, dove Tillerson ha annunciato lo stanziamento di altri 200 miloni per il contrasto all'Isis nel teatro siriano, obiettivo che secondo il segretario sarebbe però ostacolato dall'offensiva lanciata dalla Turchia contro le forze curde ad afrin.

"La situazione ad Afrin - ha detto Tillerson -  sta ostacolando i nostri sforzi per sconfiggere l'Isis nella Siria orientale, dal momento che molti uomini hanno dovuto dirottare i loro sforzi in quel senso. Abbiamo cercato di discuterne con la Turchia, che resta un nostro alleato Nato. Pensiamo che dovrebbero tenere a mente gli effetti che la loro campagna sta avendo sulla nostra missione primaria, che è la sconfitta dell'Isis, Per questo andrò ad Ankara nella seconda parte della settimana. Dobbiamo parlare con loro di come continuiare a lavorare insieme a questa missione essenziale".

In realtà, appare evidente come non ci sia la sola lotta all'Isis nell'agenda americana in Siria. Di recente, le forze statunitensi di stanza nel nord del paese si sono trovate a respingere i tentativi, da parte dell'esercito di Assad, di riconquistare i preziosi pozzi di petrolio nei pressi di Deir EzZor: dopo l'assalto a una base controllata da curdi e americani, le forze di regime hanno perso oltre cento uomini nella massiccia controffensiva lanciata dagli Stati Uniti.

 Recuperare i rapporti con il vecchio alleato turco, in questo quadro, diventa sempre più urgente, dal momento che, a ridosso della conferenza di Sochi, Ankara è andata accelerando il suo progressivo avvicinamento all'orbita russa. Secondo più d'un analista, proprio la volontà di restituire al regime i pozzi di Deir EzZor fornirebbe una ulteriore chiave di lettura al nulla osta che Putin ha concesso a Erdogan circa l'invasione di Afrin. Proprio le forze curde operative a Deir Ezzor - che stanno cercando di bonificare quella fascia di confine siro-iracheno dai rimasugli delle milize di Daesh  - la scorsa settimana hanno arrestato gli ultimi componenti della famigerata cellula terroristica dei "Beatles", che tra il 2014 e il 2015 si macchiò di alcune tra le più celebri esecuzioni di ostaggi detenuti dallo Stato islamico.  Con l'invasione turca di Afrin - che la Russia ha appoggiato in modo dapprima tacito e poi via via più esplicito - gran parte delle milizie a maggioranza curda hanno dovuto lasciare la zona per ridirigersi verso l'estremità nord occidentale del paese; riuscendo a contenere con un certo successo l'avanzata dei temibili baschi bordeaux di Ankara e dei ribelli siriani al loro seguito, ma lasciando forzosamente in stand-by l'opera di bonifica del territorio dalle ultime casacche nere.

Di qui, le rimostranze di Tillerson, che la prossima settimana sarà ad Ankara per cercare una quadra che si profila parecchio ostica da raggiungere. Recentemente, in occasione della visita del consigliere statunitense alla sicurezza McMaster, il ministro degli esteri turco Mevlüt Çavuşoğlu ha parlato di "un serio problema di fiducia tra Washington e Ankara", da appianare in fretta, pena "il definitivo degenerare dei rapporti". Negli stessi giorni, il presidente Erdogan - che ribadisce di voler proseguire la sua campagna verso la città diMambic, dove i suoi soldati potrebbero finire per scontrarsi con le forze americane di stanzas in zona - ha letteralmente minacciato di rifilare un "ceffone ottomano" ai suoi vecchi alleati.

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