Il presepio salta in aria

Il presepio salta in aria
Di Paolo Alberto Valenti
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Natale 2017 - in ricordo di un inedito di Giorgio Manganelli che la casa editrice Adelphi aveva diffuso fra i critici letterari. Gli echi di un libro nascosto che in realtà è già stato scritto nella storia di ognuno

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Un inedito assoluto che rappresenta il caso letterario migliore del genere ‘natalizio’ è “Presepio” di Giorgio Manganelli. Poche pagine nate in sordina rimaste senza eco probabilmente perchè l’autore ha voluto così, restare estraneo all’orgia delle strenne natalizie. Giorgio le scrisse in epoche imprecisate con lo scopo evidente di dare corpo a quell’angoscia (Manganelli la chiama “infelicità elusiva, viscida, serpentesca”) che appartiene ai natali della modernità.

Oggi (nonostante l’edulcorata reclam di Carrefour... “natale è magia”) riconosciamo di aver perso quasi tutto del natale. Quel tanto di mostruoso che ci resta produce disamore. Armato della sua fiera rivolta intellettuale contro il natale “fake”, Manganelli nota come la festa delle feste sia ridotta a spazzatura del “nulla”, a bordello. E’ il requiem del senso del sacro.

L’autore di “Hilarotragoedia” spara sul natale come chi si accinge a finire un cavallo dopo la caduta rovinosa. Per un credente disattento le sue parole possono rasentare la bestemmia. E invece no. Questo veloce almanacco degli orrori natalizi lancia un’occhiata periscopica e demistificante al repertorio dei luoghi comuni sul paese dei campanelli, sull’interdizione della morte, l’utopia di perfezione a cui la Terra deve adeguarsi almeno fino allo scoccare della mezzanotte.

Il natale diventa un insieme di quinte vorticose di uno “stationen drama”: il Bambinello, la Madre, il rapporto fra il bimbo e Babbo Natale. “Il bambino e il vecchio - spiega lo scrittore – sono stranamente confusi nella mia infantile devozione; non valendo il principio di contraddizione, il Vecchio cosi’ roseo e chiassoso era anche l’Infante e forse la metamorfosi derivava da un diverso uso della pelle, ora liscia, ora rugosa: un problema di concia”.

L'infanzia dello scrittore

Ma proprio dal ricordo dell’infanzia il lettore comincia a comprendere quanto nell’intimo Manganelli nutra un desiderio insaziabie, disperato, che appartiene alla più tenera immaginazione infantile: “Io sto macchinando per entrare nel presepio – confessa – allo stesso titolo di coloro che adesso lo popolano (...) non mi basta guardare il presepio! Se io entro, io diverro’ parte del Natale, capite?”

Eccolo qui Giorgio Manganelli colto in flagrante. Sarebbe assurdo pensare alla sua solitudine come a quella di un senza Dio. Anche la luce al quarzo che proietta sul mistero della Natività copre l’urlo, la dura invocazione alla Madre Celeste, madre dissepolta nel ciarpame dei ricordi natalizi. 

Non potendo entrare nella recita del presepio Manganelli gioca l’ultima carta: il suo gioco verbale tenta di ardere fino a splendere, come la cometa delle solitudini cosmiche.

Assorto viaggiatore della notte, del buio del natale, col desiderio di credere Manganelli transita nel teatro millenario del presepe per farlo saltare in aria. Cosi’ il presepio ‘metafisico’ tranquillamente scompare sotto i colpi di una speculazione intellettuale debordante e incompleta.

Siamo tutti Erode

Ma lo scrittore giunge a compiere quell’atto di coraggio che tutti dovremmo fare: riconoscerci in Erode che da solo e con mezzi esigui tento’ di impedire il natale. L’uomo della modernità invece con la sua ipocrita acquiescenza ne finge la celebrazione e lo ammazza per sempre.

Come un fanciullo Manganelli culla la disperazione dei natali della sua infanzia, ne scopre la morte viva e vitale come quella di Cristo, ne svela infine la terribile ricchezza.

Non vuole cedere alla tentazione del dolore fino a possedere qualcosa che è dato per sempre. Da qui il Natale diventa il luogo immaginario e reale di tutti i vivi e di tutti i morti in quella continuità che le religioni e l’alta poesia celebrano da sempre da Dante a Joyce, da Rilke a Virgilio. Ecco il segno della comune preghiera e della vita.

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