L'Onu chiede agli Stati interventi a tutela degli operatori dell'informazione

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Il 2015 è stato l’anno più costoso in termini di vite umane per i giornalisti, sempre più in pericolo di vita anche lontano dai campi di battaglia

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Il 2015 è stato l’anno più costoso in termini di vite umane per i giornalisti, sempre più in pericolo di vita anche lontano dai campi di battaglia.

Nel 2015 sono stati 110 i giornalisti uccisi, di cui almeno 67 durante il lavoro o per motivi certamente legati alla loro professione, e 43 per cause “che non si è riusciti a determinare”. Lo calcola l’ong Reporter
Sans Frontières nel suo bilancio annuale.

A questa cifra si aggiungono 27 ‘citizen journalists’, ovvero persone non professioniste che si occupano di informazione, e sette lavoratori del settore dei media.

I singoli Paesi più pericolosi per i reporter restano comunque Iraq (11 vittime) e Siria (10), ma al terzo posto della graduatoria balza la Francia, con gli 8 giornalisti uccisi a gennaio nell’attacco a Charlie Hebdo, stessa cifra dello Yemen.

“Le entità non-statali commettono atrocità mirate, mentre troppi governi non rispettano i loro obblighi stabiliti dal diritto internazionale – dice ancora Rsf – I 110 giornalisti uccisi quest’anno mostrano il bisogno di una risposta che sia all’altezza dell’emergenza”.

Infografica: Giornalisti uccisi 2005-2015

Non solo professionisti

Tra i giornalisti uccisi nel 2015, 27 erano dei citen-journalist, cioè dei cittadini impegnati nella diffusione di informazioni spesso non gradite al potere.

Uno dei casi più gravi ha riguardato quattro bloggers del Bangladesh .

I quattro proclamavano il diritto alla libera espressione e alla tolleranza religiosa. La loro uccisione è stata rivendicata da al-Qaida nel subcontinente indiano, ma il governo è rimasto inerte, diffondendo l’idea che l’uccisione di un giornalista non scateni reazioni importanti.

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