Africa oggi: il Continente nero tra problemi e opportunità di sviluppo

Africa oggi: il Continente nero tra problemi e opportunità di sviluppo
Di Euronews
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Sono lontani i tempi in cui gli europei erano i soli partner delle loro ex colonie in Africa. Oggi Paesi come Cina, India o Brasile fanno a gomitate per investire in un continente la cui crescita media si avvicina al 5%.

Allora, che cosa possono proporre gli europei? Per scoprirlo, l’inviata di Euronews Audrey Tilve si è unita ai mille funzionari, investitori e imprenditori riunitisi a Bruxelles per il Forum Economico Unione Europea-Africa.

Durato due giorni, l’evento ha messo in contatto i principali attori dei due continenti. Tra questi, molti imprenditori alla ricerca di finanziamenti.

Un anno fa Francine Munyaneza ha creato in Ruanda un’impresa specializzata in energia solare, Munyax Eco. Sogna di produrre localmente gli scaldabagno che oggi deve importare. I problemi, però, nascono sempre sul versante del credito.

“I tassi d’interesse sono molto alti in Africa”, spiega Francine. “Non solo in Ruanda, ma un po’ dappertutto. Credo sia legato al problema del rischio e all’inflazione. Perciò, ci ritroviamo con tassi che vanno dal 18% al 19%”.

Tra le modalità di finanziamento alternative ci sono i fondi di venture capital. Quello diretto da Paul Van Aalst, SOVEC, sostiene con i suoi finanziamenti la creazione di scuole private, di centri medico-diagnostici e di alloggi.

“Portiamo la nostra esperienza nel fornire capitale per la crescita dall’Europa all’Africa, ma poi lasciamo la valutazione della sostenibilità di un’impresa ai nostri partner locali in Africa, con i quali co-investiamo”, racconta Van Aalst. “E poi sosteniamo l’imprenditore locale nello sviluppo delle competenze che servono per far crescere l’azienda”.

In un continente dove più della metà della popolazione ha meno di 20 anni, dove l’80% delle persone vivono in zone rurali, e dove mancano gli insegnanti, l’educazione è un’immensa sfida alla quale, in parte, possono rispondere le nuove tecnologie.

“Nelle aree urbane – spiega il responsabile iniziative africane di Microsoft Louis Onyango Otieno – può essere che ogni bambino abbia un Pc. Nelle aree rurali, invece, forse la tecnologia è presente solo in qualche sala computer. Ciò che dobbiamo essere in grado di fornire è la flessibilità”.

Uno degli obiettivi di inizio millennio fissati dalle Nazioni Unite era impartire un’istruzione primaria a tutti i bambini del mondo. All’epoca, il piccolo computer verde del progetto “One Laptop Per Child” (letteralmente, ‘un computer per ogni bambino’) fece la sua comparsa nelle classi del Ruanda.

“La comunità del software aperto ha incontrato Kofi Annan e ha detto: immagini di poter rimpicciolire una scuola fino a farla entrare in un piccolo contenitore di plastica”, racconta Sven Aerts del progetto OLPC. “C‘è un piccolo pannello fotovoltaico incluso, perché questi computer sono molto economici in termini di consumi energetici”.

Tra i settori strategici nei quali l’Africa cerca di emanciparsi c‘è la farmaceutica. Il continente importa l’80% dei medicinali, spesso a prezzi molto alti.

Nei Paesi del nord la produzione locale si organizza. Più a sud, alcuni grandi gruppi proprietari di stabilimenti sul posto stanno cominciando a proporre dei partenariati che includono la formazione dei ricercatori e laboratori comuni.

Tra questi anche il gigante britannico GlaxoSmithKline: “È un approccio di lungo termine”, commenta Andrew Witty, l’amministratore delegato.

“La domanda di medicine crescerà molto in futuro”, continua. “E, per noi, è sbagliato e illogico che venga soddisfatta con l’import. Certo, molte di esse saranno sempre importate come in ogni altro Paese del mondo. Ma bisogna anche avere della capacità produttiva in loco, ed è un vantaggio per tutti, per noi e per l’Africa, il fatto di averla già sul territorio”.

La sete di autosufficienza vale anche per il settore agricolo. L’Africa deve ricorrere alle importazioni per quasi la metà delle sue necessità alimentari.

Secondo la direttrice del Consorzio panafricano per l’industria agroalimentare i metodi devono cominciare ad evolversi.

“Dobbiamo adottare nuove tecnologie e possiamo farlo solo attraverso delle partnership, ad esempio con gli europei. Ed ecco perché siamo qui”, spiega Lucy Muchoki. “Vogliamo imparare da voi. Dopotutto l’Africa è il solo continente dove si può coltivare qualsiasi cosa”.

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Ma in ultima analisi per pesare di più all’interno del contesto internazionale e per difendere i propri interessi, l’Africa ha soprattutto bisogno di unità.

Come ricorda l’ex presidente del Botswana Festus Mogae: “Gli europei stanno sperimentando alcune difficoltà nella loro collaborazione, ma di certo sono ad uno stadio più avanzato. Che cosa stiamo facendo noi, come africani, per rispondere a questa necessità, per lavorare insieme? C‘è molto da fare e sta a noi africani farlo con le nostre mani”.

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