La lotta al terrorismo resta una priorità europea

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Di Euronews
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Gli attentati di matrice fondamentalista dei primi anni 2000 hanno accelerato l’elaborazione di una strategia europea per la lotta al terrorismo.

Dal giugno 2002, l’Unione si dota di una definizione comune di attacco terrorista, armonizza le sanzioni tra gli stati membri e soprattutto introduce un mandato di arresto europeo.

Grazie al quale, l’Italia nell’estate del 2005, consegna a tempo di record, alle autorità britanniche i presunti attentatori degli attacchi messi a segno a Londra a luglio.

Nel marzo del 2004, gli attentati di Madrid spingono il Consiglio europeo a gettare le basi di una strategia comune di lotta al terrorismo e per questo viene creato anche il posto per un coordinatore.

Che viene dato all’olandese Gijs de Vries.

Il suo compito coordinare le azioni degli stati membri in materia di prevenzione e protezione dei cittadini e dei luoghi considerati sensibili.

L’Europa adotta il passaporto biometrico: è difficilissima la sua falsificazione mentre sono più semplice i controlli oltre-frontiera.

Le normative europee rendono più difficile comprare un’arma da fuoco, così come esplosivi e dell’altro materiale utile per costruire bombe.
Bruxelles dà inoltre più poteri a Europol, la polizia intergovernativa, che, tra l’altro, rafforza la lotta contro il cyber terrorismo.

Il problema principale però persiste e si sintetizza nel fatto che non segue una reale volontà politica degli stati membri. Che danno, sì, il proprio ok alla creazione di istituzioni ad hoc, ma non le dotano dei mezzi necessari.

Servizi segreti e agenzie d ‘informazione sono poco propense a piegarsi alle esigenze internazionali e a condividere informazioni delicate.

Si è ben lontani dall’avere un FBI o la CIA europea, in Europa funziona di gran lunga meglio la cooperazione bilaterale.

Situazione non facile che porta Gijs de Vries a dimettersi nel 2007.

La Commissione europea troverà un sostituto sei mesi dopo. Gilles de Kerchove, che è ancora al suo posto e che oggi parla con euronews.

Anne Devineaux, euronews:

-Dov‘è l’Europa nella lotta al terrorismo? Una domanda non semplice, per parlarne con noi, Gilles de Kerchove
Lei è il coordinatore dell’Unione europea per la lotta al terrorismo, posto creato dopo gli attacchi di Madrid.
Quali sono le grandi prioriotà europee?

Gilles de Kerchove, coordinatore Ue contro il terrosimo:

“La grande priorità riguarda questi giovani europei, ma non solo europei, ci sono anche giovani nord-africani e medio orientali, che vanno in Siria per praticare quelal che chiamano la Jihad. Per partecipare ai combattimenti e unirsi a gruppi di terroristi”.

-Cosa si fa per combattere questo fenomeno?

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“Facciamo innanzitutto un lavoro di prevenzione. Cerchiamo innanzitutto di evitare che questi giovani partano. È la primissima cosa.
Altra priorità è individuare quelli che sono partiti e che non sono noti ai servizi e alla polizia.
Bisogna mettere in atto meccanismi specifici, bisogna peraltro lavorare con i Paesi di passaggio, come la Turchia, paese di transito più comune. Bisogna poi lavorare con i Paesi da dove provengono questi combattenti. Penso a esempio alla Tunisia, ma anche all’Egitto, al Marocco”.

-Dieci anni dopo gli attentati di Madrid, si teme un altro attacco di questo tipo in Europa?

“I nostri servizi stimano la minaccia seria e reale e in gran parte legata a questo fenomeno di giovani combattenti che partono per battersi in Siria.
La minaccia è più diversificata e quindi più complessa. Dopo l’11 settembre, ci trovammo di fronte una organizzazione strutturata come una multinazionale, Al Qaeda.

E forse per questo, era piû semplice identificare le persone che ne facevano parte. Oggi ci troviamo di fronte a una proliferazione stile franchising. Abbiamo
il marchio al qaida, il cui cuore è in Afganistan e due imprese affilitate in Irak e in Siria.
Abbiamo Al-qaida nella penisola araba, in Sahel, in Nord Africa, la situazione è più complessa.
Allo stesso tempo, se la minaccia è piû subdola, la nostra risposta è divenuta piû sottile e più efficace.

Cosa che permette di compensare, possiamo constatare che dopo gli attentati di Londra e Madrid, non si sono pìù verificati attacchi di tale portata in Europa. Ci sono stati atti isolati, drammatici, ma meno importanti.

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Siamo più preparati, più pronti, più efficenti. La minaccia resta seria”.

-Sul campo della cooperazione, sono stati fatti dei progressi?

“La gran parte del nostro lavoro consiste nella cooperazione con Paesi terzi, che devono fare i conti con il problema del terrorismo.
Cerchiamo di fornirli di un dispositivo giuridico adeguato, che non ci sia una definizione di terrorismo così ampia da permettere di bandire, per esempio, gli oppositori politici. Si tratta della situazione che spesso si verifica.
Cerchiamo di migliorare lo scambio di informazioni, una grande lezione imparata dalla commissione che ha esaminato gli errori che hanno portato all’11 settembre è stata proprio migliorare la maniera in cui i servizi di sicurezza, polizia, giustizia condividono le informazioni”.

-Proprio sulla raccolta delle informazioni, abbiamo visto alcune derive da parte degli stati. I governi sembrano avere sempre meno scrupoli adanneggiare e disturbare i singoli cittadini. Non solo negli stati Uniti, ma anche in Europa.
Che ne pensa?

“Stiamo attenti a assicurare un buon equilibrio tra la necessità di raccogliere dati, nessuno può negare che siano necessari per evitare un attacco terroristico, e il rispetto della vita privata.

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Abbiamo in cantiere molti progetti legislativi per dare forza al dispositivo europeo di protezione dei dati. E poi c‘è tutta un’azione internazionale, un rapporto difficile con gli Stati Uniti, bisogna dirlo dopo le rivelazioni di Snowden, ma anche con paesi terzi, perché per noi la protezione dei dati resta fondamentale”.

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