Euronews ha raggiunto un uomo in attesa di asilo politico negli Stati Uniti. La moglie, con doppia cittadinanza ucraina e russa, è nell'ultimo gruppo di migranti rimpatriato in Russia: una storia scioccante per il trattamento ricevuto a Mosca quanto negli Usa
Per la quarta volta negli ultimi sei mesi, gli Stati Uniti hanno espulso decine di cittadini russi detenuti nei centri per i migranti, nel quadro di una stretta sull'immigrazione decisa dalla Casa Bianca.
Il volo di rimpatrio è partito dall'Arizona il 7 dicembre e la notte del 9, dopo avere fatto scalo ed essere stato trasferito sotto scorta in Egitto, il gruppo di russi si è ritrovato a Domodedovo, uno degli aeroporti moscoviti, dove i migranti sono stati sottoposti a interrogatori e alcuni sono stati portati in centri di reclutamento militare**.**
Euronews ha parlato con il marito di una donna appena deportata e con il presidente dell'organizzazione Russian America for Democracy in Russia, Dmitry Valuyev, che è stato uno dei primi a scrivere della vicenda sui social media, confermando le informazioni del New York Times.
Le fonti del giornale avevano precedentemente riferito che a bordo c'erano iraniani e cittadini di diversi Stati arabi, menzionando di sfuggita i russi.
Valuyev parla di circa 60 casi di cittadini russi deportati a Mosca. A Euronews ha dichiarato che la sua organizzazione non è a conoscenza di detenzioni, a eccezione di un caso su cui è in corso un procedimento penale per frode.
Dopo l'arrivo in Russia, la Procura generale ha comunicato la detenzione di Zair Syamiullin, 70 anni, accusato di frode per 123 milioni di rubli, ha riportato Mediazona.
Per quanto riguarda gli altri non vi sono profili penali è il motivo dell'espulsione è "il rifiuto di concedere l'asilo" negli Usa specifica Valuyev, in un'istanza per volontà dello stesso interessato che ha chiesto il rimpatrio di propria iniziativa.
C'è stato un aumento di rimpatri dagli Usa alla Russia?
Secondo Russian America for Democracy in Russia la deportazione richiede un "via libera" da parte delle autorità russe su liste di deportazione presentate in anticipo alle rappresentanze consolari.
Valuyev non crede però che le due parti abbiano in qualche modo negoziato sulla detenzione dei migranti una volta in Russia.
"Penso che questo non sia di competenza delle autorità americane. Ciò che le autorità americane potrebbero fare è dare ai rifugiati la possibilità di acquistare biglietti per i Paesi terzi sui voli di collegamento. Inoltre, ci sono persone disposte a farlo", osserva il presidente dell'associazione.
"Non vediamo alcuna dinamica particolare nella comunicazione tra le autorità americane e il consolato russo, se non l'informazione - che abbiamo appreso dai rifugiati nei "centri di detenzione" - che i dipendenti del consolato russo hanno visitato personalmente alcune prigioni per immigrati", ha detto Valuyev.
Allo stesso tempo, l'attivista sottolinea che "i russi sono in realtà una goccia nel mare degli immigrati", visto che per esempio i migranti originari del Venezuela sono stati "deportati con voli speciali 75 volte quest'anno".
Secondo il ministero degli Esteri venezuelano, quasi 14mila cittadini sono stati rimpatriati dagli Stati Uniti da febbraio di quest'anno, nell'ambito di un accordo stipulato all'inizio del secondo mandato di Donald Trump.
"Spero che gli agenti russi vengano scambiati e non solo espulsi"
Il fatto che le deportazioni siano state effettuate da un centro di detenzione della U.S. Immigration and Customs Enforcement (Ice) in Arizona, dunque al confine con il Messico, ha sollevato dei sospetti.
Il New York Times ha riportato, citando funzionari statunitensi, che Mosca ha intensificato le operazioni segrete in Messico, "dove ora risiedono alcuni dei più esperti agenti dell'intelligence russa".
"Non si può escludere" che anche gli agenti del Cremlino potrebbero essere soggetti a deportazione, ha detto Valuyev a Euronews, "ma non siamo assolutamente a conoscenza di casi del genere".
"Spero che gli agenti russi vengano piuttosto scambiati e non deportati. Tra l'altro, c'è ancora una dozzina di cittadini americani nelle carceri russe", ha aggiunto l'attivista.
La storia di due migranti russi negli Stati Uniti e la loro deportazione
Dopo l'espulsione, il processo di immigrazione negli Stati Uniti è essenzialmente concluso e non ci sono molte possibilità di contestarlo.
Euronews ha contattato Yegor, un cittadino russo con un figlio di 8 anni che è in attesa dell'esito della procedura per l'asilo politico negli Usa. Sua moglie Daria (anche questo nome è di fantasia) è nel gruppo appena deportato a Mosca dopo quasi due anni di detenzione negli Stati Uniti.
Daria è nata in Ucraina e la guerra ha già colpito duramente la famiglia. "Non siamo dei veri oppositori, ma non siamo apolitici e ci siamo sempre opposti a Putin. E quando è iniziata la guerra, [abbiamo visto che] i nostri parenti erano sotto le bombe mentre ai bambini delle scuole [russe] veniva insegnato a montare le mitragliatrici", ha ricordato Yegor.
Suo figlio ha iniziato ad avere problemi all'asilo perché "trasmetteva" la posizione antibellica dei genitori. Dopo avere perso il lavoro, Yegor e Daria hanno deciso di lasciare la Russia nel 2023, facendo richiesta di asilo tramite CBP One, un'applicazione lanciata sotto l'amministrazione Biden per fissare un appuntamento presso uno dei valichi di frontiera ed entrare legalmente negli Stati Uniti.
L'amministrazione Trump ha chiuso l'app nel gennaio 2025 e a marzo è tornata in funzione con un nuovo nome (Cbp Home) con l'obiettivo dichiarato di aiutare i migranti illegali ad "auto-deportarsi".
La coppia ha raggiunto il confine con gli Stati Uniti passando per Cuba, Perù e Messico dove, raggiunta la frontiera statunitense, è stato offerto loro di attendere "una risposta da Washington" in un centro di detenzione per richiedenti asilo.
"Non sapevamo che le famiglie potessero essere detenute e abbiamo firmato tutti i documenti", dice Yegor.
"Io e mia moglie siamo rimasti in un posto per due mesi, poi siamo stati separati in diversi centri di detenzione in Texas", spiega il russo, al quale le autorità statunitensi per l'immigrazione hanno spiegato che, poiché la moglie ha la doppia cittadinanza, "è impossibile considerare i nostri casi insieme".
In quel periodo il bambino è stato ospite di diverse famiglie in Messico, con la possibilità di parlare una volta al giorno con i genitori.
Come funziona il viaggio di rimpatrio dei russi espulsi dagli Usa
Yegor è stato rilasciato dal centro di detenzione lo scorso 2 gennaio e ora attende una decisione sul suo caso. Per Daria invece un giudice ha dato il via libera alla deportazione in Russia o in Ucraina, come confermato anche dalla Commissione per i ricorsi in materia di immigrazione (Bia) a cui avevano presentato un appello.
Yegor è venuto a sapere del rimpatrio dell'ultimo gruppo di cittadini russi solo il 3 dicembre, "una grande deportazione". A quel punto Daria è scomparsa dalla piattaforma digitale attraverso la quale i migranti detenuti possono contattare le loro famiglie utilizzando uno speciale tablet.
"Siamo stati fortunati", dice oggi l'uomo riferendosi al viaggio della moglie, che ha tenuto traccia degli spostamenti della consorte su Flightradar24. Daria avrebbe dovuto fare otto scali negli Stati Uniti, ma alla fine ha fatto _"_Phoenix - New York - Cairo - Mosca".
Tuttavia, la moglie è dovuta volare con catene a caviglie e polsi legate unite da un'altra assicurata alla vita. Una volta al Cairo, i deportati sono stati scortati da circa 50 addetti alla sicurezza e l'arrivo a Domodedovo è coinciso con un'interrogatorio dell'Fsb, i servizi segreti russi.
"Cosa pensa della guerra? Perché è partita? Dov'è suo marito?" le hanno chiesto, racconto Yegor che aveva chiesto alla moglie di mantenere un profilo più basso possibile. Daria ha detto anche al marito che tutti gli uomini del gruppo, senza eccezione, sono stati convocati al centro di arruolamento militare.
Daria ha anche raccontato della sorveglianza attraverso una scheda del cellulare: "ti troveremo grazie ad essa", le hanno detto i funzionari moscoviti.
Yegor e il figlio non vedono la donna da quasi due anni. La decisione sulla loro sorte è stata rinviata al 2027 e nel frattempo l'uomo non può lavorare negli Usa. A breve però Daria vuole lasciare la Russia per un altro Paese.
"Non potrà tornare negli Stati Uniti: il divieto è di 10 anni. Può fare appello, ma ho già speso così tanti soldi per gli avvocati che non ne ho più", confessa Yegor che sta pensando di autodeportarsi chiedendo all'Ice di fornirgli i biglietti.
Come spiega Dmitry Valuyev, l'"autoespulsione" è possibile prima di un'udienza e di una sentenza individuale e Yegor soddisfa questo criterio.
Però "al di là di questo non sappiamo dove andare. Non so davvero quale sia il prossimo passo", dice Yegor conscio che le autorità Usa hanno espulso russi già a luglio, agosto e settembre scorsi e che l'intenzione è di limitare l'accoglienza a favore di persone originarie del Sudafrica o ad europei che parlino inglese.