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Hubert Védrine: "Le democrazie rappresentative sono in crisi"

Hubert Védrine: "Le democrazie rappresentative sono in crisi"
Diritti d'autore euronews
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Di Sergio Cantone
Pubblicato il
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Euronews ha incontrato Hubert Védrine, consigliere del presidente francese François Mitterrand ed ex ministro degli Esteri francese

I conflitti si moltiplicano in tutto il mondo e le democrazie sono sempre più in crisi. Il mondo è diventato ingovernabile? Lo abbiamo chiesto a Hubert Védrine, consigliere del presidente francese François Mitterrand ed ex ministro degli Esteri.

Hubert Védrine, benvenuto su Euronenews. Questa estate la questione della governabilità viene sollevata a tutti i livelli: nazionale, internazionale, dell'Unione europea e globale. Stiamo assistendo alla fine di un ordine politico e di un ordine economico mondiale?

A livello globale, non è mai esistito un vero e proprio ordine mondiale. In realtà, c'è sempre stato un disordine mondiale, ma ci sono stati momenti in cui le potenze sono riuscite a dominare il sistema. Gli americani hanno gestito le conseguenze della Seconda Guerra Mondiale, e l'hanno fatto molto bene. È stato uno dei rari momenti in cui una potenza dominante è riuscita a combinare gli interessi nazionali, che sono propri di tutte le potenze, con una visione generale. Poi c'è stata la Guerra Fredda: è stata piuttosto stabile e facilmente comprensibile. C'erano l'Est, l'Ovest e il Sud, il famoso Terzo Mondo. Poi, quando l'Unione Sovietica è scomparsa, c'è stata un'ondata di entusiasmo e trionfalismo in Occidente, che ha assunto una forma nazionalistica negli Stati Uniti: "Abbiamo vinto, siamo i padroni!". Ora siamo tornati alla geopolitica classica: la forza degli Stati Uniti, la forza della Cina, cosa sta succedendo alla Russia e così via. Non direi che tutti i regimi sono in crisi. Ci sono differenze tra Cina e Russia. D'altra parte, tutte le democrazie sono in crisi e, a mio parere, sono minacciate.

C'è un problema di governabilità...

Non in Europa in particolare, ma in tutte le democrazie. Guardi gli Stati Uniti, sono in una situazione spaventosa. È come se due Paesi si combattessero. C'è una crisi nelle democrazie rappresentative. Le vecchia concezione secondo cui eleggiamo presidenti, parlamentari e così via, li lasciamo lavorare, giudichiamo i loro risultati e poi decidiamo se rieleggerli o meno, è morta.

C'è anche un rischio, quello di una spaccatura definitiva in termini di interessi tra gli Stati Uniti...

Tra Europa e Stati Uniti. A mio avviso il loro rapporto si evolverà in modo diverso rispetto al secolo scorso. Perché, in effetti, cosa ha unito forzatamente gli Stati Uniti e l'Europa? La prima guerra mondiale, poi Hitler e Stalin. Ora è Putin. Ma, a lungo termine, si tratta di mondi diversi. Nel suo testamento, il primo presidente, George Washington, scrisse: "Mai immischiarsi nei conflitti tra europei", ma gli Stati Uniti non sono mai stati isolazionisti. Non lo sono mai stati quando si è trattato di controllare il Messico, Cuba o le Filippine. Ma l'Europa è un caso particolare in cui sono stati obbligati a reinvestire molto più di quanto avessero previsto. Lo stiamo vedendo di nuovo oggi: non sono solo i trumpisti a dire che sono stufi di pagare per gli europei e che l'Europa non sta facendo abbastanza. Anche i Democratici lo stanno dicendo. Barack Obama ha spostato il focus sull'Asia, dicendo: "L'Europa è importante, ma è secondaria". Tutto questo potrebbe costringere gli europei a reagire più di prima.

Quindi, sia che ci sia una presidenza repubblicana con Trump, come tutti sembrano pensare, sia che ci sia una presidenza democratica, non ci sarà un grande cambiamento in politica?

Ci sarà un enorme cambiamento di stile, di comportamento.

Di narrativa, come si suol dire?

Di narrativa, ma è anche una questione di decenza politica. In ogni caso, per quanto riguarda l'Ucraina ad esempio, ci sarà un'evoluzione sia che vinca Trump, sia che vincano i democratici: in entrambi i casi gli Stati Uniti non hanno intenzione di votare un secondo piano da 61 miliardi. Quindi, in un modo o nell'altro, la questione dell'Ucraina cambierà.

La Russia rimane un dilemma per gli europei e gli americani. Ci sono Paesi europei che spingono per la linea dura, dicendo che la Russia è una minaccia esistenziale che dobbiamo sopprimere, eliminare, mentre per altri è sì un rischio, ma gestibile. Altri ancora parlano di coinvolgere la Russia...

Sarò franco, per una volta sono dell'opinione dei vecchi realisti americani come Kissinger e Brzezinski: ritenevano che avessimo sbagliato tutto negli anni '90. Penso davvero che in quel periodo, con Eltsin, Putin e Medvedev, avremmo dovuto fare ciò che proponeva Kissinger: un grande accordo di sicurezza che includesse anche la Russia. Per Brzezinski, consigliere per la sicurezza nazionale di Jimmy Carter che ha avuto un'enorme influenza, l'Ucraina doveva essere tagliata fuori dalla Russia. Bisognava reinventare l'Ucraina, tagliarla fuori dalla Russia, in modo che la Russia non fosse più un impero. Ma non inserire l'Ucraina nella Nato. Avrebbe dovuto avere uno status neutrale, come l'Austria durante la Guerra Fredda. Ma non è stato fatto. Gli Stati Uniti, con disinvoltura olimpica, hanno detto: "Abbiamo vinto. I nostri valori saranno imposti ovunque, con sermoni, sanzioni, bombardamenti e così via". Il realismo non ha fallito. La realpolitik non ha fallito, non è stata provata. Ha prevalso una sorta di realpolitik confusa. Qui sono completamente d'accordo con Biden, e non con gli europei. Biden fin dall'inizio ha detto: "Dobbiamo assolutamente impedire a Putin di vincere in Ucraina. Ma non ci lasceremo trascinare nella spirale della guerra con la Russia". E qui c'è una divisione, perché ci sono alcuni europei che non osano dirlo ma pensano che il regime russo debba essere abbattuto.

E tornare alla Moscovia, in pratica...

Sì, Walesa lo aveva già detto, per esempio, perché la Russia è anche un impero coloniale. Ma ora c'è una linea americana. E anche nel momento in cui pensavamo, speravamo, che gli ucraini avrebbero vinto, il capo di Stato maggiore degli Stati Uniti ha chiarito che non avrebbe sostenuto, ad esempio, un attacco alla Crimea. Ora lo scenario è quello opposto. L'Ucraina è minacciata e sono completamente d'accordo con Biden: dobbiamo impedire a Putin di vincere.

Lei ha detto che, secondo Biden, la Russia non deve vincere. Ma cosa significa in termini concreti, sul terreno? Una sorta di 38° parallelo in stile europeo? Cioè, congelare il conflitto dove sono arrivati i russi?

Mi aspetto una sorta di congelamento. Il famoso piano Trump di cui conosciamo l'inizio. Dice a Zelensky che deve fermarsi, quindi Zelensky anticipa, dicendo che troverà un accordo con Trump e inviterà i russi ai negoziati. Sa già che, anche se vincessero i Democratici, non avrebbe un sostegno perpetuo. Quindi una sorta di congelamento. Dopodiché, non posso immaginare negoziati, almeno non diretti. L'Ucraina ha sofferto troppo, la guerra russa in Ucraina è disgustosa: è mostruosa in termini umani. Quindi l'Ucraina non negozierà, neanche se il presidente non fosse Zelensky: non può negoziare con la Russia.

Quale formula?

Diversi Paesi hanno proposto piani di coesistenza, di vicinato, un cessate il fuoco organizzato e così via. La Turchia, ad esempio, che ha sottolineato di aver permesso che i negoziati si svolgessero nel primo anno. Po gli indiani, i cinesi, Lula. Tutti, ma non gli europei, che ora sono in un unico campo. Penso che gli europei, continuando ad aiutare l'Ucraina, dovrebbero posizionarsi in modo da poter svolgere, in futuro, un ruolo in questa vicenda. Questo significa essere in grado di accettare che ad un certo punto dovremo parlare di nuovo con i russi.

Ma i russi vogliono parlare con gli americani...

Sì, è così.

E gli americani non vogliono parlare con i russi. Forse Trump lo farà?

Trump ha un piano: "Ci fermiamo, non ci sono più soldi''. Ma poi tutti gli diranno, anche negli Stati Uniti, che dobbiamo comunque impedire a Putin di attaccare di nuovo. A Trump potrebbe comunque andare bene, perché se i russi attaccassero di nuovo Trump non potrebbe più impressionare i cinesi. Se dovesse vincere le elezioni, potrebbe esserci una seconda parte del piano di Trump. Non ne siamo ancora sicuri, ma nell'ipotesi che vincesse dirà che risolverà la questione tra sua elezione e l'ingresso alla Casa Bianca il 21 gennaio. Questo significa che sarà in grado, in un modo o nell'altro, di ottenere garanzie russe che, a mio parere, non hanno alcun valore, a meno che non ci siano minacce deterrenti.

L'adesione dell'Ucraina all'Unione europea potrebbe essere una soluzione accettabile per tutti?

L'allargamento in generale, un giorno, dovrà fermarsi da qualche parte. Quindi l'idea che ci allargheremo fino alla Mongolia... Beh, per ora è una battuta, non ci siamo ancora arrivati. Posso capire che a un certo punto, per ragioni di solidarietà umana, viste le atrocità subite dagli ucraini, dovremmo fare questo gesto, ma è molto complicato. L'Ucraina non soddisfa i requisiti. Quindi deve esserci un calendario realistico. D'altra parte, non possiamo deludere Paesi come quelli dei Balcani occidentali che sono in attesa da anni.

Ma questo è il problema. Il problema principale, quando si parla di allargamento ai Balcani occidentali, è il riconoscimento del Kosovo. Lei era in carica come ministro degli Esteri all'epoca della guerra.

Ho fatto parte del gruppo di contatto, c'era anche il ministro russo dell'epoca, Igor Ivanov. Ma vorrei sottolineare che la Spagna non ha riconosciuto il Kosovo. Diversi Paesi europei non l'hanno riconosciuto, perché è un precedente troppo pericoloso. Quindi non capisco come l'apparato europeo, che è rigido nel suo modo di pensare ed è molto arrogante, anche se forse un po' meno ora, non capisco come l'abbia posto come condizione per l'adesione della Serbia.

Anche perché la costruzione di una difesa europea, soprattutto dal punto di vista industriale, rimane qualcosa di irreale.

È tutto un teatrino. Anche prima di Macron, che ne è un forte sostenitore, i francesi hanno sempre proposto una difesa europea, ma gli europei non la vogliono. Uno dei modi per farlo è quello di creare un'industria della difesa in Europa. Ma gli americani, pur sostenendo che gli europei devono spendere di più, combattono i loro concorrenti europei. Quindi vogliono che gli europei spendano di più, ma per acquistare prodotti americani. I Paesi che contano in materia di difesa, che sono sei o sette, in segreto dovrebbero discutere tra loro di cosa fare se fosse eletto Trump.

Gli Stati Uniti stanno spingendo per estendere la portata della Nato all'area dell'Asia-Pacifico. Non tutti gli europei sono convinti di questo.

Ho un punto di vista classico, sia francese che classico. Si chiama Trattato del Nord Atlantico. C'è sempre stata la tentazione di uscire da questa zona, di estenderla. Non è una novità e non è una buona soluzione. È incontrollabile ed molto pericolosa. Non sappiamo dove ci porterebbe. La chiave della Nato è l'Articolo 5, l'obbligo di difendere gli alleati. Penso che abbiamo bisogno di un altro tipo di alleanza, una vera alleanza, e in alcuni casi, per alcune operazioni specifiche, potrebbe esserci una cooperazione una tantum e limitata tra questo o quel paese della Nato in Europa e questa alleanza asiatica. In ogni caso, a mio parere, non può trattarsi della stessa alleanza. Inoltre, è già stato un abuso estendere la competenza teorica della Nato all'Afghanistan, che si è concluso con un fallimento.

Il Medio Oriente, invece, è un problema enorme per la sicurezza europea.

Ci sono diversi scenari, tra cui alcuni spaventosi: uno è che gli israeliani nazionalisti, estremisti, quasi fascisti, non necessariamente Netanyahu, ma i suoi alleati, riescano ad espellere tutti i palestinesi e a rendere la vita insopportabile in Cisgiordania. L'altra ipotesi atroce è che, un giorno, sugli israeliani cada una vera bomba. Questi sono scenari, non soluzioni. L'unica soluzione è quella che Itzak Rabin ha avuto il coraggio di accettare: due Stati, di cui uno Stato palestinese. Rabin, Shimon Peres, Olmert e altri, Barak e persino Sharon, alla fine, avevano accettato questa idea, prima della vittoria di Netanyahu, che ha ripreso il potere, come ha detto Clinton, a causa dell'influenza degli ebrei russi nell'elettorato. Netanyahu ha detto: con me, mai uno Stato palestinese. Poi c'è stato l'orrore del 7 ottobre e della guerra successiva. Quindi non è una questione di sicurezza.

Uno Stato palestinese su quale base? All'epoca c'erano Arafat, l'Olp...

Anche la squadra di Biden - Blinken, Sullivan, gente molto preparata in materia - ritiene che ci debba essere un percorso verso uno Stato palestinese. Anche i Paesi arabi si erano arresi. Parto dal presupposto che Netanyahu sarà messo da parte. Abbiamo bisogno di un governo israeliano che si assuma il rischio sul versante palestinese. Dobbiamo reinventare un'Autorità palestinese nuova e credibile. Questa è l'unica minaccia per Hamas. E Hamas farà tutto ciò che è in suo potere per impedirlo. Quindi, se troviamo un altro Primo ministro israeliano e un altro leader palestinese, non Hamas, dobbiamo proteggerli.

E uno Stato unico? Cosa ne pensa?

Non credo che reggerebbe.

Con un cambio di nome, forse?

Bisogna iniziare a separare i due popoli. Forse un giorno vivranno insieme, ma non credo. Non lo vedo. Mi sembra ancora più complicato dell'altro scenario, che è già...

...abbastanza complicato.

15:12 R

Sì, ma non dobbiamo rinunciare a sperarci.

Concludiamo con uno scenario leggermente meno complicato: la situazione in Francia dopo le elezioni. Per la prima volta c'è una grande difficoltà nel trovare una maggioranza. E si prospetta una coabitazione. Ma con quale maggioranza? Lei è stato ministro in un governo di coabitazione...

Ho vissuto tre coabitazioni. Il presidente Macron non aveva già una vera maggioranza, quindi aveva un governo che navigava in base ai problemi. La situazione è ancora più complicata di prima. In primo luogo, perché nessuno aveva previsto la coalizione elettorale nota come Fronte Popolare.

Un cartello...

Sì, quello che chiamavamo cartello della sinistra negli anni 22-23. Macron non se lo aspettava. In realtà nessuno se lo aspettava. Perché c'è una contraddizione assoluta nella sostanza. Basta guardare il programma su determinati argomenti. È chiaro che ci sono contraddizioni personali, ambizioni contrastanti ed enormi contraddizioni nel programma. Quindi la domanda è: cosa succederà nell'anno a venire? A meno che il Fronte Popolare non riesca a imporre una candidatura unica, ma per il momento non è in grado di farlo. E se ciò non dovesse accadere, in entrambi i casi si passerà a tentativi di formare una coalizione di governo, o con ciò che resta dei macroniani, più un po' di destra moderata, un po' di sinistra... nessuno lo sa. Ma in ogni caso, è una minoranza.

Ma, secondo lei, a un certo punto sarà necessario impegnarsi o addirittura creare una forma di distensione istituzionale con il Rassemblement National, visto che rappresenta una parte considerevole dell'elettorato francese?

Sì, credo che abbiamo raggiunto i limiti dello spirito democratico quando cerchiamo di ostracizzare dagli incarichi persone che rappresentano quasi la metà dell'elettorato. Non è più accettabile. C'è questo sbarramento del Fronte Repubblicano contro l'estrema destra basato su moralismo e su una narrativa dell'antifascismo. A mio avviso la realtà è completamente diversa. È intellettualmente pigro paragonarla agli anni '30, è una realtà completamente diversa. Se questa strategia avesse funzionato, il Rassemblent National sarebbe al 15%, non al 40%. Quindi è vero, la domanda è delicata e le risposte possono scioccare alcune persone. Ma a mio avviso, o i partiti al governo riescono a rispondere, cosa che non avviene da 30 anni, alla richiesta non di fascismo, ma di ordine. Oppure, prima o poi, sarà l'estrema destra a governare. Quando questo accadrà, ne vedremo i limiti. Diventerà un partito di governo odiato come tutti gli altri.

A proposito di estremi: Viktor Orban, il primo ministro ungherese, è stato molto criticato per aver aperto dei negoziati con i russi e i cinesi, e anche con Trump. Pensa che iniziative del genere possano essere utili?

No, non in modo isolato. Voglio dire, non sto gridando allo scandalo perché nessuno ricorda che la presidenza ruota. Quindi, in un certo senso...

Ha dato visibilità alla presidenza a rotazione...

Le ha ridato lustro. Dopodiché, c'è un gioco particolare dietro. Quando Putin lo riceve, Orban sa benissimo che la cosa riguarda solo lui e uno o due altri Paesi, ma non c'è altro. Quindi non me la prendo con Orban, anche se questo fa cadere in uno stato comatoso l'intero sistema della Commissione e della politica di sicurezza europea. In ogni caso, il quadro cambierà alla fine dell'anno. Sia Trump che i democratici non continuieranno sulla stessa linea di prima. Quindi Orban potrà dire di aver preparato il terreno, anche se non può farlo, perché ciò che interessa ai russi è la questione americana e Zelensky avrà bisogno di persone in grado di parlare sia con gli americani che con i russi. Quindi hanno creato uno scandalo esagerato. È più una questione di lotte di territorio, ma non è nemmeno questa la soluzione. Non credo che gli europei, nel caso vincesse Trump, seguiranno l'esempio di Orban.

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