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La Corte di giustizia Ue conferma la direttiva sul salario minimo: respinto il ricorso della Danimarca

Lavoratori del sindacato marciano con un cartello con la scritta "aumento dei salari e delle pensioni" durante una manifestazione a Bruxelles, 16 dicembre 2022.
Lavoratori del sindacato marciano con un cartello con la scritta "aumento dei salari e delle pensioni" durante una manifestazione a Bruxelles, 16 dicembre 2022. Diritti d'autore  AP AP Photo/Geert Vanden Wijngaert
Diritti d'autore AP AP Photo/Geert Vanden Wijngaert
Di Alice Tidey & Marta Iraola Iribarren
Pubblicato il
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La Corte di giustizia europea dichiara valida la direttiva Ue sul salario minimo adeguato. Respinto il ricorso della Danimarca: gli Stati membri devono ora accelerarne l’attuazione

La Corte di giustizia europea (Cge) ha confermato la validità della direttiva dell’Unione europea che mira a garantire un salario minimo "adeguato" in tutti i 27 Stati membri.

La sentenza respinge il ricorso presentato dalla Danimarca, che sosteneva che l’Ue avesse ecceduto le sue competenze in materia di politiche salariali.

La direttiva, adottata nell’ottobre 2022, stabilisce un quadro comune per rafforzare la tutela dei lavoratori attraverso salari minimi più equi e una maggiore diffusione della contrattazione collettiva. Per la Danimarca – sostenuta dalla Svezia – queste norme rappresentavano un’ingerenza nelle politiche salariali nazionali, tradizionalmente definite tramite accordi tra sindacati e datori di lavoro e non tramite legge.

Secondo Copenaghen, l’Ue non avrebbe alcun potere di legiferare sulle retribuzioni. Ma la Corte ha stabilito che la direttiva è valida e che non viola il diritto di associazione né interferisce con le contrattazioni salariali nazionali.

La Corte ha però annullato due passaggi specifici del testo originale: uno legato ai criteri per determinare un salario minimo adeguato e un altro che impediva ai Paesi con salari indicizzati automaticamente di ridurre il livello minimo. Secondo i giudici, quei punti costituivano una “interferenza diretta” sulle retribuzioni, ambito che resta di competenza degli Stati membri.

La decisione contraddice il parere espresso a gennaio dall’Avvocato generale della Corte, che aveva suggerito l’annullamento dell’intera direttiva.

Il gruppo S&D del Parlamento europeo ha accolto con favore la sentenza, definendola “un forte segnale di speranza e giustizia sociale in tempi di crisi del costo della vita e degli alloggi”. Anche la Confederazione europea dei sindacati (Ces) ha invitato gli Stati membri ad accelerare l’attuazione delle nuove regole: “La direttiva è solida, ma ha bisogno di una solida applicazione”, ha dichiarato la segretaria generale Esther Lynch.

La Ces si è però detta “molto preoccupata” per l’eliminazione della disposizione che impediva modifiche ai salari minimi indicizzati, temendo che alcuni governi possano utilizzarla come pretesto per abbassare le retribuzioni minime legali.

La direttiva europea sul salario minimo non impone agli Stati membri un importo unico e uniforme, ma stabilisce l’obbligo di garantire che il salario minimo assicuri un tenore di vita dignitoso, la riduzione della povertà lavorativa e una maggiore equità sociale. L’obiettivo è anche promuovere la contrattazione collettiva e ridurre il divario retributivo di genere.

Finora solo otto Paesi hanno implementato la direttiva, che era stata approvata con il sostegno di tutti gli Stati membri tranne l’Ungheria, che si era astenuta.

Secondo Eurostat, a gennaio 2025 i salari minimi mensili lordi nell’UE variavano da 551 euro in Bulgaria a 2.638 euro in Lussemburgo. Ora, con la conferma della Corte, gli Stati che non hanno ancora recepito la direttiva saranno costretti ad accelerare il processo.

Euronews ha richiesto un commento al Ministero del Lavoro danese, ma al momento non ha ricevuto risposta.

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