Riccardo Alcaro, coordinatore delle ricerche e responsabile del programma “Attori globali” dello Iai, analizza per Euronews le strategie di Teheran e Tel Aviv, il ruolo ambiguo dell’Unione europea e le possibilità di mediazione internazionale
L’escalation tra Israele e Iran mette in allarme la comunità internazionale: il programma nucleare iraniano, le strategie di Teheran da una parte e quelle israeliane dall'altra. Le relazioni tra i due Paesi sono al centro di un delicato equilibrio tra guerra e diplomazia.
Per comprendere meglio le dinamiche di questo complesso confronto, abbiamo intervistato Riccardo Alcaro, Coordinatore delle ricerche e Responsabile del programma "Attori globali" presso lo Iai, Istituto Affari Internazionali.
A che punto è il programma nucleare iraniano? Quanto è vicino a un’arma atomica?
La recente denuncia dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (Aiea), ha accusato l’Iran, per la prima volta in 20 anni, di violare gli obblighi internazionali relativi al nucleare.
La pubblicazione del rapporto Aiea, avvenuta pochi giorni prima dell’inizio dei radi israeliani, è stata interpretata come un pretesto politico, con il sostegno – implicito o esplicito – di alcuni Paesi europei chiave.
"L’Iran non possiede attualmente una bomba atomica - spiega Alcaro -. Quello che ha è un programma nucleare civile che però crea legittime preoccupazioni per il suo potenziale di conversione ad usi militari".
Le valutazioni dell’intelligence Usa, ripetute più volte dal 2007, indicano che il programma militare nucleare iraniano è stato sospeso nel 2003, con un focus spostato sulle attività civili.
Tuttavia, dopo il ritiro degli Stati Uniti dall’accordo sul nucleare del 2015, noto come Jcpoa, Teheran ha rilanciato alcune attività nucleari, alcune delle quali di dubbia natura civile.
"L'assunto generale dell'intelligence era che l'Iran non si volesse dotare di una bomba, ma volesse usare il programma nucleare come leva negoziale per ottenere una qualche forma di garanzia di sicurezza - precisa Alcaro -, di stabilizzazione della relazione con gli Stati Uniti, ma soprattutto la revoca delle sanzioni".
Le opzioni dell’Iran: il Trattato di non proliferazione e la crisi attuale
La situazione per la Repubblica Islamica è estremamente delicata, sottoposta a pressioni interne ed esterne senza precedenti. In caso di un allargamento del conflitto, soprattutto se con il coinvolgimento diretto degli Stati Uniti, Teheran potrebbe sentirsi minacciata a livello esistenziale.
Le possibili risposte iraniane illustrate da Alcaro oscillano tra la continuazione di rappresaglie militari di capacità limitata, la ricerca di una soluzione diplomatica, o un’eventuale abbandono del Trattato di non proliferazione nucleare per perseguire apertamente la bomba atomica.
Un elemento strategico importante, sottolinea Alcaro, è la collocazione di uno dei principali siti di arricchimento dell’uranio iraniano, collocato all’interno di una montagna, una posizione che rende complessi eventuali attacchi militari israeliani. Anche se "non è detto che nemmeno un intervento americano sia sufficiente a distruggere Fordow, però certamente è in grado di amplificare notevolmente il già massiccio danno che sta facendo Israele all'Iran", continua Alcaro.
Se l’Iran dovesse decidere di realizzare un’arma nucleare, la crisi ne risentirebbe in modo drammatico, portando a un isolamento internazionale e a un’escalation militare senza precedenti.
Il ruolo dell’Unione europea e la complessità della posizione europea
L’Unione europea, storicamente impegnata nel dialogo con l’Iran e nel tentativo di evitare l’escalation, si trova oggi in una posizione ambigua e divisa.
Francia, Germania e Regno Unito – i cosiddetti “E3” – "sono diventati nel tempo sempre più rigidi nei confronti dell'Iran", dichiara Alcaro, avvicinandosi alla linea degli Stati Uniti dopo il ritiro statunitense dal Jcpoa.
Come spiega Riccardo Alcaro, in particolare, gli E3 attribuiscono all’Iran la piena responsabilità di aver violato i termini dell’accordo del 2015, anche se l’Iran ha iniziato a farlo solo dopo il ritiro unilaterale degli Stati Uniti, generando in Teheran un forte senso di sfiducia e tradimento.
Nel 2022, in contemporanea, sono scoppiate in Iran le proteste del Movimento “Donna, Vita, Libertà”, che hanno avuto un grande impatto mediatico in Europa.
Nello stesso periodo, ripercorre l'analista politico, la Russia ha iniziato a utilizzare droni di fabbricazione iraniana per attacchi contro obiettivi civili in Ucraina, complicando ulteriormente le relazioni internazionali legate all’Iran.
Secondo Alcaro la pubblicazione del rapporto Aiea e la conseguente risoluzione di censura all’Iran da parte dell’E3 sono state utilizzate da Israele come giustificazione politica per i suoi attacchi. Tuttavia, la connessione temporale tra i due eventi appare più strategica che causale.
Questa duplicità europea si traduce in un atteggiamento complesso: da un lato si ribadisce la volontà di risolvere la crisi tramite la diplomazia, dall’altro si sostengono misure che contribuiscono ad alzare la tensione.
Una sfida cruciale per la stabilità globale
Il conflitto tra Israele e Iran rappresenta un punto di svolta per la stabilità regionale e mondiale.
La comunità internazionale, e in particolare l’Europa, è chiamata a scegliere tra alimentare un’escalation militare dalle conseguenze imprevedibili o rilanciare il dialogo diplomatico per scongiurare una guerra che potrebbe avere conseguenze importanti soprattutto per la popolazione iraniana.
"In nessun modo l'idea che la Russia possa avere un ruolo di mediazione è credibile - conclude Alcaro -, e non è neanche seria", con il ruolo di Vladimir Putin che appare limitato o secondario nella crisi.
Gli unici attori con la capacità di facilitare un negoziato credibile sono gli Stati Uniti, che però dovranno scegliere se impegnarsi seriamente su questa via diplomatica.
I prossimi giorni saranno decisivi per comprendere se sarà possibile trovare un compromesso o se, al contrario, la crisi è destinata a precipitare.