A Pristina, attivisti della società civile protestano contro la paralisi parlamentare in Kosovo. Simbolici orologi e sedie vuote denunciano mesi di stallo e decisioni illegittime del governo tecnico di Kurti
A Pristina, davanti al Parlamento bloccato da mesi, la società civile del Kosovo ha dato vita a una protesta simbolica contro l’impasse politico che paralizza il Paese. In un’iniziativa dal forte valore visivo, orologi fermi e 120 sedie vuote sono stati disposti nell’ordine previsto in Assemblea, a simboleggiare il tempo perso dal 9 febbraio, data delle elezioni, e l’assenza di un funzionamento parlamentare. Lo slogan più ricorrente: “Ogni ritardo ha un prezzo”.
Un’ora dopo questa manifestazione, è fallito per la ventiduesima volta il tentativo di convocare l’Assemblea eletta. Gli attivisti denunciano una crescente “normalizzazione della crisi istituzionale”, come dichiarato da Eugen Cakoli dell’Istituto democratico del Kosovo (Kdi): “I partiti politici stanno ignorando l’allarme che risuona da mesi. Ognuno ha responsabilità nella paralisi dell’Assemblea”.
La situazione solleva interrogativi sulla legittimità del governo tecnico guidato da Albin Kurti, in carica nonostante lo scioglimento del Parlamento e l’assenza di una nuova legislatura operativa. Mentre i deputati eletti hanno giurato ad aprile, l’Assemblea non è mai entrata in funzione pienamente, aggravando il vuoto istituzionale.
La denuncia delle Ong contro l’immobilismo istituzionale
Durante la manifestazione, sono stati attivati allarmi sonori per richiamare l’attenzione sull’urgenza di sbloccare il sistema politico. Gli attivisti hanno voluto rappresentare in modo simbolico il silenzio e l’inazione delle istituzioni attraverso 120 sedie vuote, occupate solo idealmente dai parlamentari che non riescono a eleggere il nuovo speaker, condizione necessaria per avviare la legislatura.
Il partito di governo Vetevendosje!, guidato da Kurti, ha ottenuto 48 seggi su 120 alle elezioni, insufficiente per formare un governo senza alleanze. Tuttavia, l’esecutivo dimissionario continua ad agire, una situazione che per diversi esperti viola la legge costituzionale kosovara.
Secondo l’accademico serbo Aleksandar Rapajić, il problema non è solo politico, ma anche giuridico: “Il governo dovrebbe limitarsi alle funzioni tecniche, senza interferire nelle decisioni strategiche, soprattutto se i ministri sono già passati formalmente in Parlamento”.
Sotto accusa il mandato tecnico di Kurti
La legittimità delle attività dell’attuale governo è stata messa in discussione non solo dagli attivisti, ma anche da esperti di diritto costituzionale. Il Gruppo per gli studi giuridici e politici ha documentato 17 decisioni adottate da Kurti e dai suoi ministri, ritenute in violazione dell’articolo 72 della Costituzione. Secondo il rapporto, ogni singola decisione adottata in questo contesto sarebbe illegale, poiché presa da un esecutivo privo di piena legittimità.
Anche Bljerina Istrefi, rappresentante del gruppo, ha espresso preoccupazione per quello che ha definito un “abuso di potere ufficiale”, potenzialmente sanzionabile in base all’articolo 414 del Codice penale del Kosovo. Una situazione che, oltre a compromettere la legalità delle politiche attuali, rischia di minare ulteriormente la fiducia nella democrazia e nelle istituzioni.
L’opposizione ha reagito presentando 17 denunce penali contro Kurti e membri del suo ex gabinetto. Secondo Hikmete Bajrami, dell’Alleanza Democratica del Kosovo, “i deputati eletti e certificati non possono continuare a governare sotto il pretesto di un mandato tecnico”.
Lo stallo legislativo blocca economia e diplomazia
Nonostante le promesse di nuove alleanze, nessun accordo politico è stato raggiunto per sbloccare la situazione. I tre principali partiti di opposizione hanno rifiutato ogni forma di coalizione con il partito di Kurti, lasciando il Paese in un limbo istituzionale che impedisce la nomina di un nuovo governo stabile.
Intanto, il governo ad interim continua a operare, prendendo decisioni su dossier economici e diplomatici, tra cui i difficili colloqui di normalizzazione con la Serbia, in stallo da anni. Una realtà che preoccupa anche la comunità internazionale, considerando che l’assenza di un esecutivo pienamente legittimato indebolisce la posizione del Kosovo nei negoziati regionali.
Gli analisti avvertono che ogni giorno di stallo ha conseguenze gravi per la vita economica e istituzionale del Paese. Il nuovo governo avrebbe il compito di gestire le riforme, la spesa pubblica e i rapporti con Bruxelles, ma finché non sarà formalmente costituito, qualsiasi atto di governo rischia di essere contestato e revocato.
La società civile promette nuove proteste
Le organizzazioni della società civile hanno dichiarato che continueranno le mobilitazioni finché non sarà convocata ufficialmente la nona legislatura. Per loro, lo sblocco dell’Assemblea è una questione non solo legale ma morale, necessaria a garantire il funzionamento democratico del Paese.
Il messaggio lanciato dalla piazza di Pristina è chiaro: la società civile non intende tollerare ulteriori rinvii o compromessi, e pretende trasparenza e responsabilità da tutte le forze politiche.
In un momento critico per la stabilità del Kosovo, la crisi parlamentare rappresenta un pericoloso precedente e una sfida aperta al principio di legalità. Se non affrontata, rischia di prolungare l’instabilità istituzionale e alimentare la sfiducia dell’opinione pubblica.