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Bruxelles punta a 650 miliardi per la difesa, ma pochi Paesi Ue attivano la deroga fiscale

Due caccia AV-8B Harrier II della Marina spagnola volano nell'ambito dell'esercitazione navale NATO Dynamic Mariner/Flotex-25 a Barbate, nel sud della Spagna, il 28 marzo 2025.
Due caccia AV-8B Harrier II della Marina spagnola volano nell'ambito dell'esercitazione navale NATO Dynamic Mariner/Flotex-25 a Barbate, nel sud della Spagna, il 28 marzo 2025. Diritti d'autore  AP Photo/Bernat Armangue
Diritti d'autore AP Photo/Bernat Armangue
Di Alice Tidey
Pubblicato il
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La Commissione europea conferma la previsione di 650 miliardi di euro di investimenti per la difesa nei prossimi quattro anni. Solo 13 Paesi Ue hanno chiesto la deroga alle regole fiscali per aumentare le spese militari. Ecco i dettagli del piano "Readiness 2030" e del meccanismo SAFE

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Nonostante la prudenza di molti governi europei, la Commissione europea conferma la sua ambiziosa previsione secondo cui gli Stati membri dell’Unione europea potrebbero investire fino a 650 miliardi di euro nel settore della difesa entro il 2030. Questa cifra è stata avanzata a marzo nel contesto del piano strategico “Readiness 2030”, che punta a rafforzare le capacità militari del blocco.

Tuttavia, a oggi solo 13 dei 27 Paesi membri hanno presentato richiesta formale per attivare la clausola di salvaguardia fiscale nazionale, strumento che consentirebbe una deroga temporanea alle rigide regole del patto di stabilità per aumentare la spesa militare senza incorrere in sanzioni per deficit.

Nel dettaglio, la proposta della Commissione prevede la possibilità per ciascun governo di aumentare la spesa per la difesa dell’1,5 per cento del Pil all’anno per quattro anni, anche se ciò comportasse lo sforamento del limite del 3 per cento di deficit. Questo margine di flessibilità fiscale rappresenta uno dei capisaldi dell'intero piano da 800 miliardi di euro con cui Bruxelles intende rilanciare la sicurezza e l’autonomia strategica europea.

La deadline fissata inizialmente al 30 aprile per la presentazione delle richieste è stata descritta dalla Commissione come una "scadenza morbida", e ulteriori domande saranno accettate se inoltrate in tempo utile per l’analisi tecnica prima del pacchetto semestrale di primavera, previsto per il 4 giugno.

Finora, Belgio, Danimarca, Estonia, Finlandia, Germania, Grecia, Ungheria, Lettonia, Lituania, Polonia, Portogallo, Slovacchia e Slovenia hanno ufficializzato la propria adesione alla clausola.

Verso una nuova stagione di investimenti militari

L’esecutivo europeo ha chiarito che il dato di 650 miliardi di euro rappresenta una stima indicativa, basata su ipotesi teoriche che potrebbero evolversi. “Non conosciamo ancora il numero definitivo di Stati che faranno domanda, né l’andamento effettivo delle loro spese per la difesa”, ha spiegato Balazs Ujvari, portavoce della Commissione. Una stima più precisa sarà possibile solo nel 2026, sulla base dei dati di spesa relativi all’anno precedente.

Le richieste dei Paesi dovranno comunque dimostrare la presenza di circostanze eccezionali esterne e la sostenibilità del deficit a medio termine. Un aspetto particolarmente critico per quei Paesi che già oggi superano la soglia di deficit del 3 per cento del Pil e sono quindi potenzialmente soggetti a procedura per disavanzo eccessivo. Tra questi figurano il Belgio (4,8 per cento), l’Ungheria (4,1 per cento), la Polonia (7,9 per cento) e la Slovacchia (8,8 per cento).

SAFE: il piano per prestiti europei destinati alla difesa

In parallelo alla clausola nazionale, Bruxelles ha previsto un altro meccanismo di supporto finanziario nell’ambito del piano “Readiness 2030”: il programma SAFE. Si tratta di un fondo europeo che prevede l’emissione di titoli di debito comunitari per raccogliere fino a 150 miliardi di euro, da destinare a prestiti agevolati per l’acquisto congiunto di armamenti e sistemi difensivi, preferibilmente prodotti in Europa.

SAFE rappresenta una delle risposte più concrete alle sfide poste dall’aggressività geopolitica globale e dal conflitto in Ucraina, offrendo agli Stati membri un'alternativa ai bilanci nazionali per sostenere investimenti comuni nella sicurezza.

Il meccanismo, attualmente in fase di esame al Consiglio, entrerà in vigore nei prossimi mesi: i governi avranno sei mesi di tempo dall’approvazione per inoltrare le richieste di finanziamento.

Francia e Italia, ad esempio, non hanno ancora chiesto l’attivazione della clausola nazionale, ma potrebbero invece puntare a ottenere fondi attraverso SAFE, come riferito da fonti vicine alla Commissione. L’obiettivo rimane quello di garantire che la spesa per la difesa sia al contempo ambiziosa, coordinata e sostenibile dal punto di vista fiscale.

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