Profughi siriani: la piaga del lavoro minorile

Profughi siriani: la piaga del lavoro minorile
Di Ahmed Deeb
Condividi questo articoloCommenti
Condividi questo articoloClose Button
Copia e incolla il codice embed del video qui sotto:Copy to clipboardCopied

Sono fuggiti dalla provincia di Aleppo due anni fa, quando l’autoproclamato Stato Islamico occupò il loro villaggio.

Sono fuggiti dalla provincia di Aleppo due anni fa, quando l’autoproclamato Stato Islamico occupò il loro villaggio. Da allora vivono a Gaziantep, nel sudest della Turchia, una delle città che ospitano il maggior numero di profughi siriani. Per sopravvivere lavorano in una fabbrica di scarpe, nonostante la legge vieti il lavoro minorile. Il primogenito, Hamza, racconta: “Quand’eravamo in Siria un proiettile di mortaio cadde sulla nostra casa e uccise mio padre. Siamo venuti in Turchia perché in Siria non c‘è lavoro. In famiglia siamo in quattro, io sono il più grande, ho 13 anni, i miei fratelli più piccoli hanno 11 e 9 anni. Non mi piace lavorare, mi piace andare a scuola e giocare, avrei voluto cominciare a lavorare tra qualche anno… ma nessuno si prende cura di noi qui”.

Anche il proprietario della fabbrica, Abu Shihab, è siriano, di Aleppo, e afferma di voler aiutare i bambini facendoli lavorare per impedire che lavorino in strada o facciano l’elemosina, anche se sa bene che l’età minima legale per poter lavorare in Turchia è di 15 anni: “I bambini vengono pagati circa 15 euro alla settimana ciascuno, in cambio del lavoro che fanno per aiutare la loro famiglia. Ci sono imprenditori che sfruttano i bambini, soprattutto i bambini siriani. È facile sfruttarli sessualmente, è facile sfruttarli economicamente, e perfino non pagarli del tutto. I bambini non possono lamentarsi perché per la legge sono troppo giovani per lavorare, e quindi non hanno diritti”.

Hamza e i suoi fratelli lavorano 12 ore al giorno sei giorni alla settimana. La loro madre non può lavorare perché è malata. Una situazione di cui si vergogna profondamente, ma non può fare altrimenti, dice: “La vita è difficile qui. Pensate che mi faccia piacere che i miei figli non vadano a scuola? No, per niente. Ma non c‘è altra scelta. Ci sono solo loro a occuparsi di me e della casa. Non ci sono aiuti, non ci sono organizzazioni umanitarie che si prendono cura di noi. I miei bambini stanno subendo un torto. Ma senza il loro aiuto non potremmo sopravvivere”.

Insiders15 Age of Syrian refugees in Turkey
Create pie charts

Reyhanli è una città turca alla frontiera con la Siria. I profughi che vivono qui sono ormai tanti quanto i residenti locali. Per guadagnarsi da vivere molti bambini siriani raccolgono per strada rifiuti di plastica, metallo e cartone per le fabbriche di riciclaggio. Come Abdullah, 14 anni, che spiega: “Raccolgo la plastica e la vendo per far mangiare i miei fratelli più piccoli che non possono lavorare. Comincio a lavorare alle 6 del mattino, vado a prendere il carrello dal proprietario della fabbrica, e lui mi dice: ‘Se raccogli 50 o 60 chili te li compro e ti lascio il carrello gratis’”.

Abbiamo seguito Abdullah per quattro ore, poi siamo andati con lui a pesare quello che aveva raccolto per venderlo. In tutto ha guadagnato 6 lire turche, meno di 2 euro.

Abbiamo trovato altri tre bambini siriani fra i 10 e i 15 anni di età che lavorano per la fabbrica di riciclaggio. Il proprietario turco ci ha lasciato filmare all’interno, ma non ha accettato di parlare con noi.

Abdullah vive in un garage con la sua famiglia di otto persone. Sono scappati da Hama un anno e mezzo fa, quando il regime di Damasco ha cominciato a bombardare la città. “Quando eravamo in Siria, – ricorda Abdullah – giocavamo fuori, fra gli alberi, andavamo a scuola con i nostri amici, eravamo al sicuro, si stava meglio. Da quando siamo arrivati qui dobbiamo pagare l’affitto, l’acqua e l’elettricità”.

Il Centro per il sostegno psicologico e la protezione del bambino Act è un’associazione siriana non-profit con sede a Reyhanli. Act collabora con la polizia turca per combattere il lavoro infantile. Il direttore, Mohammed Bader Eddin, ci mostrano il caso di un bambino che prima del loro intervento lavorava 18 ore al giorno raccogliendo plastica, e che ora studia qui al centro. Un caso tutt’altro che eccezionale, dice: “Ho conosciuto molti bambini qui a Reyhanli che lavorano 14-18 ore al giorno per 5 o 6 dollari, una paga bassissima. Ci sono molte fabbriche qui che fanno lavorare i bambini, che li spingono a lavorare e li aiutano a farlo dando loro carrelli, borse e addirittura carri trainati da cavalli, che però fanno pagare ai bambini, glieli danno in affitto. Gli adulti sono retribuiti meglio, ma i bambini vengono sfruttati, lavorano più ore per una remunerazione inferiore. I bambini sono esposti a molti abusi nelle strade, ci sono bambini che vengono stuprati e ragazzine intorno ai dieci anni d’età che vengono molestate sessualmente”.

Condividi questo articoloCommenti

Notizie correlate

La tratta di esseri umani, un "crimine nascosto"

Traffico di essere umani, +40% nel Regno Unito "fino a 80mila nuovi schiavi"

Che cosa la Francia ha imparato dagli attentati del 2015