Via libera all’autorizzazione ambientale per l’ex Ilva di Taranto: impianto salvo, ma restano 470 prescrizioni. Il Mediatore europeo apre un’indagine sulla Commissione Ue per i ritardi nella procedura d’infrazione
Con l’approvazione della nuova autorizzazione integrata ambientale (Aia) ponte, il governo ha di fatto garantito la continuità produttiva dello stabilimento ex Ilva di Taranto, oggi Acciaierie d’Italia, evitando lo spettro del fermo impianti. Il provvedimento, firmato il 17 luglio, arriva in un momento cruciale per il futuro dell’acciaieria e per l’equilibrio politico e industriale del Mezzogiorno: senza l’Aia aggiornata, l’impianto sarebbe stato tecnicamente non autorizzato a proseguire la produzione, aprendo uno scenario di crisi industriale e occupazionale.
Cosa prevede l'autorizzazione
La nuova autorizzazione stabilisce un limite massimo di sei milioni di tonnellate di acciaio prodotte ogni anno per i prossimi 12 anni, ma soprattutto impone 470 prescrizioni tra adeguamenti ambientali, controlli tecnici, monitoraggi e interventi di messa in sicurezza.
Il testo è stato elaborato tenendo conto delle indicazioni fornite dall’Istituto superiore di sanità, che ha espresso particolare preoccupazione per l’impatto sanitario dello stabilimento sulla popolazione tarantina. Fonti vicine al dossier confermano che tutte le prescrizioni sanitarie dell’Iss sono state recepite integralmente, una condizione ritenuta imprescindibile anche a livello politico e istituzionale.
In attesa del nuovo accordo di programma
Tuttavia, quella rilasciata è un’autorizzazione provvisoria: una sorta di “ponte normativo” in attesa del nuovo accordo di programma interistituzionale, che sarà sottoscritto nelle prossime settimane e che definirà in maniera più strutturale il destino dell’impianto. In questa fase transitoria, alcuni parametri dell’attuale AIA restano allineati a quelli del precedente documento autorizzativo, per un periodo di sei mesi, durante il quale si continuerà a raccogliere dati ambientali e industriali da integrare nella revisione definitiva.
Nonostante il via libera, restano forti le perplessità delle associazioni ambientaliste e della società civile, che chiedono maggiore trasparenza, tempi certi per la bonifica e un impegno concreto sul piano sanitario. Se da un lato la nuova AIA consente allo stabilimento di proseguire l’attività, dall’altro non spegne l’allarme ambientale che da oltre un decennio pesa come un macigno sulla città di Taranto.
Il mediatore Ue indaga
Ma, dopo dodici anni di ritardi, silenzi e sollecitazioni rimaste senza risposta, il caso ambientale legato all’ex Ilva di Taranto arriva sul tavolo del mediatore europeo, che ha ufficialmente aperto un’indagine sulla gestione da parte della Commissione europea della procedura d’infrazione contro l’Italia.
La denuncia è stata presentata il 4 giugno dall’eurodeputata Valentina Palmisano (La Sinistra) e dagli attivisti Alessandro Marescotti e Luciano Manna dell’ONG PeaceLink, che accusano Bruxelles di aver “chiuso un occhio” per troppo tempo su una delle più gravi emergenze ambientali d’Europa.
La procedura d’infrazione era stata avviata nel 2013, dopo che i test ambientali avevano rilevato inquinamento dell’aria, del suolo e delle acque nell’area dell’acciaieria e nei quartieri vicini. Un quadro drammatico, legato anche a tassi anomali di tumori e alla contaminazione della catena alimentare.
Nonostante l’allarme, l’Europa ha agito con lentezza: una prima “messa in mora supplementare” è arrivata nel 2014, poi un silenzio lungo undici anni, fino a maggio 2025, quando la Commissione ha inviato una nuova diffida. Nessuna delle due è mai sfociata in un deferimento alla Corte di giustizia dell’Ue.
L’ombra dell’indifferenza istituzionale
“Il caso dello stabilimento Ilva di Taranto è purtroppo rimasto nell'ombra dell'indifferenza istituzionale”, ha dichiarato Marescotti. “Taranto è stata sacrificata sull'altare degli interessi economici, a scapito della salute, della dignità e dei diritti fondamentali dei suoi abitanti”.
Il mediatore europeo, Teresa Anjinho, ha scritto l’11 luglio alla presidente della Commissione Ursula von der Leyen, chiedendo chiarimenti ufficiali entro il 30 settembre. Nella lettera, Anjinho richiede alla Commissione di fornire tutta la documentazione relativa alla procedura e di spiegare quali passi concreti siano stati compiuti dal 2013 a oggi.
Commissione Ue: "Dialogo intenso, ma l’Italia non ha fatto abbastanza"
Interpellata da Euronews Green, la Commissione ha ribadito la volontà di cooperare con il mediatore e ha ricordato che l’Italia aveva due mesi di tempo per rispondere all’ultima diffida del 7 maggio 2025. Tuttavia, non è noto se il governo italiano abbia risposto in tempo. Le richieste di accesso agli atti sono state respinte per motivi di riservatezza.