In che modo la Ue e le aziende europee intendono diminuire la dipendenza economica dalla Cina?

In collaborazione con The European Commission
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Di Fanny Gauret
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L'Unione europea dipende fortemente da Pechino e da altri Paesi per le materie prime essenziali utilizzate, ad esempio, nella produzione di telefoni, veicoli elettrici o semiconduttori

Lo scorso marzo, in un discorso al Mercator Institute for China Studies, la presidente della Commissione europea, Ursuala von der Leyen, ha annunciato l'intenzione del blocco europeo di diminuire la dipendenza economica dalla Cina. Von der Leyen ha usato il termine "de-risking", che indica la necessità di ridurre i rischi legati a un eccessiva dipendenza da Pechino.

Come metterla in atto, visto che l'Unione europea dipende fortemente dalle importazioni dalla Cina? John Seaman, ricercatore dell'Istituto francese di relazioni internazionali di Parigi, sottolinea l'attuale instabilità geopolitica. "Man mano che procediamo con queste ampie trasformazioni strutturali, in particolare con la transizione verso una società a zero emissioni e digitale, scopriamo che ci sono sempre più fattori di dipendenza da Paesi che sono sempre più disposti a usare queste dipendenze come leva in un ambiente globale conflittuale - dice Seaman -. Così, mentre procediamo con la transizione energetica, verso i veicoli elettrici, l'energia solare e le energie rinnovabili, scopriamo che molte delle nostre catene di approvvigionamento dipendono da una sola fonte, in particolare dalla Cina.

L'Unione europea dipende fortemente da altri Paesi per le materie prime essenziali utilizzate, ad esempio, nella produzione di telefoni, veicoli elettrici o semiconduttori. La Cina fornisce il 100% delle di terre rare pesanti, la Turchia il 98% del boro e il Sudafrica il 71% del platino. "La domanda ora è: come si fa a mitigare i rischi relativi a queste dipendenze? - dice Seaman -. E come si negozia con la Cina per cercare di fare in modo che Pechino non usi le sue fonti di influenza per fare affari a scapito degli interessi dell'Europa?".

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John Seaman, ricercatore dell'Istituto francese di relazioni internazionali di ParigiEuronews

A Lione abbiamo incontrato Emilie Jolivet di Yole Group, una società di consulenza che lavora con l'industria dei semiconduttori al centro dell'economia globale. "Molti dei nostri clienti stanno cercando di riprendere il controllo, in particolare nel settore dell'imballaggio, che è fortemente dipendente dalla Cina e da Taiwan, e stanno cercando di trasferirsi nel sud-est asiatico, ad esempio - dice Jolivet -. L'industria dei semiconduttori ha un valore di 600 miliardi di dollari ed è sottoposta a un attento controllo da parte dei governi, che fanno di tutto per mantenere la propria posizione in questa corsa alla tecnologia e ai ricavi.

Una normativa europea per aumentare la produzione di chip

Bruxelles ha lanciato la Normativa europea sui semiconduttori con l'obiettivo di aumentare la capacità di produzione di chip, fino a raggiungere il 20% del mercato mondiale entro il 2030.

"Non possiamo disfare catene di approvvigionamento complesse e in cui anche il costo dei componenti è molto importante - dice Jolivet -. Lo sforzo compiuto dall'Unione europea per mettere sul tavolo 43 miliardi di euro è piuttosto consistente. Non sarà sufficiente per raggiungere la totale autonomia dell'industria dei semiconduttori, ma è un primo passo per ottenere o riprendere il controllo del settore".

Nell'ambito della sua strategia di reindustrializzazione, la Francia sta cercando di ricostruire le sue catene di approvvigionamento, in particolare per semiconduttori e batterie. Grenoble ospita uno dei centri di ricerca della Commissione francese per l'energia atomica e le energie alternative (Cea). Qui vengono condotti progetti di innovazione lungo tutta la catena del valore industriale.

Secondo la Banca Mondiale, con l'accelerazione della transizione verde, la domanda di materie prime critiche dovrebbe aumentare del 500% entro il 2050. Come spiega l'esperto Simon Perraud, questi materiali sono al centro delle industrie di domani.

"Se la Francia e l'Europa non controllano la catena del valore industriale delle batterie, allora la Francia e l'Europa non controlleranno il loro futuro sistema energetico. Attualmente, la Cina detiene più della metà delle capacità produttive in diversi segmenti della catena del valore - dice Simon Perraud, vicedirettore del Cea -. La concorrenza in questo campo è spietata, quindi è importante investire e continuare a fare ricerca e sviluppo per sostenere l'intero ecosistema industriale, ad esempio estendendo l'autonomia dei veicoli elettrici, usando meno materiali critici nelle batterie e riciclando le batterie per recuperare più metalli. E tutto questo a costi inferiori".

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Simon Perraud, vicedirettore del CeaEuronews

L'industria delle batterie: un settore chiave

Realizzare batterie con meno materiali critici è l'obiettivo della startup Olenergies, con sede vicino a Parigi. Sviluppa batterie al litio ferro fosfato (Lfp), senza cobalto o manganese, per l'accumulo massiccio di energia rinnovabile o per l'alimentazione dei centri dati.

"Abbiamo scelto di utilizzare materiali che si trovano quasi ovunque sul pianeta e che possono essere facilmente riciclati - dice Julien Le Guennec, amministratore delegato e fondatore di Olenergies -. Questo ci permetterà di produrre batterie con una durata di vita almeno quattro volte superiore a quella delle batterie al litio tradizionali e, soprattutto, molto sensibili all'ottimizzazione digitale".

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La startup francese Olenergies punta a produrre batterie con meno materiali criticiEuronews

Meno potenti ma più ecologiche, queste batterie sono adattabili grazie all'intelligenza artificiale. Costano il 20% in più rispetto a quelle cinesi. Per distinguersi nel mercato competitivo delle batterie Lfp, è necessario produrne una grande quantità e in tempi rapidi.

"Il mercato delle batterie, l'industrializzazione delle batterie, è una corsa globale - dice Le Guennec -. E noi siamo impegnati in questa gara. Una corsa agli investimenti, una corsa alle scoperte tecnologiche per distinguerci ed essere sovrani nei nostri sviluppi tecnologici".

L'ambizione è quella di aprire la prima gigafactory entro il 2026. Diversificare la catena di produzione e produrre in Europa continuando la transizione digitale e verde: Seaman ci ricorda che questa strategia ha un costo. "È certamente possibile diversificare le catene di approvvigionamento, anche avviando la produzione qui in Europa. Ci sono potenziali miniere anche in Europa. In Svezia, per esempio - dice Seaman -. Ma tutto questo richiede molto denaro. Ci vogliono molti investimenti e molto tempo. Quindi bisogna ricostruire una catena di approvvigionamento molto lunga. Questo si tradurrà necessariamente in un aumento dei prezzi e dell'inflazione, perché costa di più farlo qui in Europa che farlo altrove, in particolare in Cina".

Video editor • Sebastien Leroy

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