Quella ottenuta è stata una vittoria strategica, che ha ridisegnato le regole del gioco, o solo un risultato momentaneo che potrebbe essere superato dal prossimo scontro?
Dal momento in cui ha colpito in profondità il territorio iraniano, Israele ha lanciato un messaggio chiaro: il confronto non sarà più confinato ai fronti periferici o alle guerre per procura. Tel Aviv ha voluto spostare il baricentro del conflitto direttamente sul suolo della Repubblica islamica, tentando di riscrivere le regole d’ingaggio con l'appoggio implicito di Washington e di alcune capitali occidentali.
A colpire non è solo la portata delle incursioni aeree, ma la natura strategica del bersaglio: non si tratta più di colpire Hezbollah in Libano o milizie in Siria, ma il cuore stesso delle infrastrutture militari e nucleari iraniane.
Una campagna di attacchi ad alta precisione
L’offensiva israeliana è iniziata con una serie di attacchi aerei mirati contro strutture militari, centri di comando, impianti per la produzione di missili e droni. Azioni rapide, basate su intelligence ad alta precisione, che hanno colto alla sprovvista le difese iraniane.
Il messaggio di Israele: nessun luogo è più al sicuro. Ma se l’effetto shock è stato immediato, non ha prodotto un cedimento strategico da parte iraniana.
L’intervento USA alza la posta
La svolta è arrivata con l’ingresso degli Stati Uniti, che hanno colpito siti nucleari ad altissima sicurezza, come Fordow, Isfahan e Natanz. Missili perforanti e bombardieri stealth B-2 hanno segnato l’apice dell’escalation.
Secondo l’AIEA, i danni sono ingenti, ma l’agenzia non è ancora in grado di valutare quanto delle strutture sotterranee sia stato effettivamente distrutto.
Teheran non ha fatto passi indietro. La retorica si è intensificata e gli attacchi missilistici verso Israele sono continuati. Il confronto ha assunto un profilo sempre più diretto, con il rischio concreto di una spirale militare senza ritorno.
Vittoria tattica o abbaglio strategico?
Israele ha dimostrato capacità operative notevoli, attirando di nuovo l’attenzione globale sul dossier nucleare iraniano. Ma gli osservatori avvertono: il vantaggio potrebbe essere effimero.
L’ex premier Ehud Olmert ha dichiarato che, sebbene gli attacchi statunitensi abbiano inferto un colpo serio al programma nucleare iraniano, non è realistico pensare che il regime possa crollare sotto i raid. "È arrogante immaginare che un attacco preventivo possa spezzare un Paese di 90 milioni di persone", ha detto.
Secondo fonti diplomatiche, Israele ha ottenuto una vittoria immediata, ma non ha ancora modificato l’approccio strategico di Teheran né forzato un ritorno al tavolo negoziale. Al contrario, ha forse alimentato un ciclo di ritorsioni che potrebbe sfuggire di mano.
Con l’intervento diretto degli Stati Uniti, i costi sono saliti. Ma anche le incertezze: Israele riuscirà a trasformare il vantaggio tattico in una nuova equazione geopolitica? O ha spalancato le porte a un confronto che potrebbe travolgere l’intera regione?