Sánchez si smarca dal target Nato del 5 per cento per la spesa militare, fissando il limite al 2,1 per cento. Ma i dati mostrano una Spagna ancora sotto la media, mentre Usa, Polonia e Grecia trainano gli investimenti
Il primo ministro spagnolo Pedro Sánchez ha annunciato domenica un'intesa con la Nato per contenere al 2,1 per cento del Pil la spesa militare di Madrid, rifiutando di allinearsi all'obiettivo del 5 per cento proposto dagli Stati Uniti e discusso nel prossimo vertice dell’Alleanza Atlantica. “Sarebbe sproporzionato e non necessario”, ha detto il premier. Il piano spagnolo mira a rafforzare le capacità difensive senza compromettere la stabilità economica del Paese.
Il Segretario Generale della Nato Mark Rutte ha replicato con cautela: “La Spagna crede di poter raggiungere gli obiettivi con il 2,1 per cento, ma secondo noi servirà almeno il 3,5 per cento”. Un segnale chiaro che il compromesso trovato potrebbe non bastare.
Chi spende davvero per la difesa in Europa (e chi no)
I dati forniti dalla Nato nel 2024 mostrano che la Spagna, con circa l'1,3 per cento del Pil attuale dedicato alla difesa, è ben al di sotto della soglia minima del 2 per cento concordata nel vertice di Cardiff del 2014. Il nuovo obiettivo annunciato da Sánchez – il 2,1 per cento – rappresenterebbe un miglioramento, ma la distanza rispetto ad altri alleati resta notevole:
Spesa per la difesa 2024 (per cento del Pil): confronto tra Paesi Nato
Polonia: 4,3 per cento
Stati Uniti: 3,9 per cento
Grecia: 3,5 per cento
Regno Unito: 2,3 per cento
Francia: 2,1 per cento
Germania: 1,7 per cento (in aumento verso il 2 per cento)
Italia: 1,5 per cento
Spagna: 1,3 per cento (obiettivo dichiarato: 2,1 per cento)
A trainare la spesa sono in particolare i Paesi dell’Europa orientale, come la Polonia, spinta dalla minaccia russa, e la Grecia, da sempre con alti livelli di spesa militare. Anche la Francia ha annunciato il raggiungimento del 2,1 per cento, mentre Germania e Italia sono ancora in fase di riallineamento.
Una flessibilità su misura per Madrid
Il compromesso raggiunto da Sánchez con il Segretario Generale Mark Rutte prevede che la Spagna possa contribuire agli obiettivi della Nato con una soglia inferiore al 5 per cento, a patto di rispettare le “capacità operative” concordate. Di quel 5 per cento, ha chiarito Rutte, il 3,5 per cento dovrebbe andare alla spesa militare classica, mentre il restante 1,5 per cento alla sicurezza strategica più ampia (cyber, infrastrutture, spazio, interoperabilità).
Madrid propone una lettura “flessibile” dell'impegno, chiedendo che la soglia del 5% non sia vincolante per tutti, o che la Spagna ne sia formalmente esclusa nella dichiarazione finale del vertice.
Bilanci, opinione pubblica e realismo
Con un’opinione pubblica tradizionalmente contraria agli aumenti di spesa bellica e una priorità interna data al welfare e alla transizione ecologica, Sánchez si muove su un equilibrio delicato. “Investire sì, ma con realismo” sembra essere la linea strategica, che potrebbe trovare sponda anche in altri Paesi del Sud Europa.
Tuttavia, in una Nato che si orienta sempre più verso un approccio da “economia di guerra” in risposta all’aggressività russa, la Spagna rischia di apparire in ritardo. Il vertice dell’Aia sarà il banco di prova per capire se la posizione spagnola verrà tollerata come eccezione o diventerà motivo di frizione più ampia tra le due sponde dell’Atlantico.